Putin ha certificato la morte della politica mondiale, non quella dei pacifisti

25 Febbraio 2022

“Dove sono i pacifisti?”. “Come mai le piazze non sono piene di gente che protesta?”. La domanda gira e rigira da un paio di giorni, ed è una domanda evidentemente retorica, che contiene in realtà già la risposta che ha deciso di darsi. La risposta è che i pacifisti stavolta non ci sono perchè il cattivo di turno non sono gli americani ma i russi. Che i pacifisti di ieri dunque altro non erano che semplici antimaericani. Si potrebbe obiettare, in realtà, che qualcuno in piazza c’è andato nelle città italiane, chiedendo convintamente e ovviamente inutilmente la fine della guerra. Ma prendiamo per buona sia la finta domanda sia la risposta preconfezionata, perchè sono molto più utili a una riflessione di prospettiva di quanto potrebbe sembrare.

E dunque, chi – sacrosantamente, ovviamente – condanna l’aggressione putiniana, si chiede e chiede dove sono i pacifisti. È vero, si trovano a fatica. È vero che le piazze italiane sono state popolate da poche migliaia di persone, che genericamente hanno chiesto pace, condannando l’invasione e aggressione volute da Putin ma senza particolare “profondità” politica. È vero che quando fu un amministrazione statunitense repubblicana a fare grandi guerre in nome della lotta all’antiterrorismo le città europee furono invase da milioni di persone, mentre oggi che la guerra a scopo aggressivo la decide un autocrate russo non avviene nessuna mobilitazione neanche apertamente paragonabile. È vero. Ma spiegarsi tutto con un rigurgito di antiamericanismo che spiegherebbe la timidezza della protesta anti-Putin è un esercizio pigro, come pigra è in fondo la postura filo-occidentale e filo-democratica di chi, appunto, chiede sarcasticamente “dove sono i pacifisti”.

La verità, parecchio scomoda per entrambi i vecchi fronti di novecentesca memoria, è che i due lati della discussione sono ormai consunte vestigia di un passato concluso, come conclusa è la guerra fredda e concluse – drammaticamente – sono le campagne di inizio millennio per “l’esportazione della democrazia”, le utlime attorno alle quali il mondo occidentale, la sua classe politica e la sua opinione pubblica, si divisero davvero. Quando infatti, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, l’amministrazione americana decise l’invasione dell’Afghanistan e poi, sull’onda lunga, quella dell’Iraq, con l’obiettivo – riuscito – di sovvertire i due governi dittatoriali nazionali, si aprirono anni di lunga e accesa discussione. Ma quella che poteva sembrare una nuova fase di partecipazione politica fu invece il canto del cigno di un tempo che tramontava. Era il tempo del novecento delle ideologie, certo, e molti scesero sicuramente in piazza sostenuti dall’antico tic anti-americano. Ma era anche, innegabilmente, l’ultima coda di un decennio che aveva riscoperto – dopo gli anni Ottanta e proprio in ragione della fine del comunismo, e del dominio del liberismo – il gusto, il piacere e il dovere della discussione pubblica.

Parliamo, diciamocela tutta, della preistoria. Perchè strappa un sorriso – amaro come la nostalgia – il rimprovero all’assenza dei pacifisti, di quei pacifisti, perchè appartengono a un mondo che non c’è più, come non c’è più la gioventù atlantista di chi li rimprovera, nè quella antiamericana delle piazze che dicevano che Bush e Saddam erano uguali. Del resto, è la politica che è scomparsa in un gorgo, risucchiata nell’oblio in cui sono cadute le comunità politiche, le grandi famiglie politiche internazionali che condividono orizzonti e interessi e che dosano con fatica e sapienza il rapporto tra questi due elementi della Storia. Per cui – ed è storia di questi giorni – le truppe di Putin arrivano serenamente a Kiev, incontrando solo l’eroica opposizione della resistenza ucraina, ma anche la comprensibile rassegnazione di chi sa la sproporzione delle forze in campo e sa anche – soprattutto – la propria solitudine. Con i leader del mondo che si prendono una settimana per vedersi e parlarne. Con Italia e Germania che, troppo dipendenti dal gas russo, frenano sulle sanzioni perchè è vero che l’inverno sta finendo, ma poi ritornerà. Con l’Unione Europea che non può quindi avere una voce sola, mentre gli Usa possono dire quel che vogliono, tanto in mezzo c’è l’Atlantico. I vari attori citati, di fatto, hanno sottovalutato per anni la minaccia rappresentata da una Russia sempre più autocratica, spesso anche aizzato le ragioni di frustrazione e malcontento russe, accresciuto nel frattempo la propria dipendenza dal gas russo, non spinto l’Ucraina a un maggior rispetto delle minoranze e degli accordi. E infine, oggi che in aperta violazione del diritto internazionale Putin fa la guerra, nessuno è nella posizione di muovere un dito. Nessuno vuole farlo con sanzioni economiche davvero incisive o – men che meno – immaginando di intervenire sul campo.

Insomma, invece di prendersela con i pacifisti che non ci sono più, sarebbe interessante capire perchè e come un intero mondo, e i suoi potenti, hanno consentito alla Storia di arrivare fin qui, e a Putin di seguire un disegno – lucido e criminale? folle e criminale? lo dirà il tempo – che lo porta indisturbato a Kiev, coi carrarmati, nel 2022. Invece di chiederci dove sono finiti i pacifisti, ancora, proviamo a chiederci dove sono finiti piuttosto i comandanti, i generali, gli strateghi. Dov’è finita la conoscenza della guerra che è indispensabile alla pace. Speriamo – a riflessione finita – di fare in tempo a spegnere luce e riscaldamento, prima che si spengano da soli.

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CAT: Partiti e politici

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