Quelli come Speranza, per Matteo Renzi sono dei falliti
C’è la plastica rappresentazione di che cos’è il Pd, nell’addio di Roberto Speranza alla poltrona di capogruppo dei deputati. Che cos’è il Pd nell’idea di Matteo Renzi, che ne è il legittimo segretario/proprietario. Quelli come Roberto Speranza, nell’idea di Matteo Renzi sono dei falliti. È una straordinaria visione aziendale, nella quale la missione a cui il Capo chiama il suo esercito deve essere pienamente condivisa, anche nella diversità delle idee, anzi soprattutto nella diversità delle idee, perché la sofferenza degli altri – la cui coscienza magari ribolle, ma che come soldati in guerra impallinano senza pietà il nemico – è la più grande delle soddisfazioni per il signor generale. In questi giorni televisivi, Matteo Renzi ha una sua suggestiva controfigura in Leonardo Notte di «1992», la fiction che racconta quell’anno chiave per l’Italia, scopatore funambolico che viene identificato da Fininvest come il più spregiudicato (e il più intelligente) tra i servitorelli che potranno indagare un Paese che cambia per capire davvero se può cambiare nel senso che desidera il Cavaliere. E a questo Notte semipalestrato, a cui Accorsi restituisce pienamente una fragile arroganza, salgono e scendono sì molti dubbi, fors’anche etici chissà, mai bastevoli però a renderlo veramente dubbioso sul valore finale di una missione.
A Roberto Speranza questi dubbi sono stati fatali, invece. Ha ceduto di schianto, dopo aver servito fedelmente la ditta che nel corso dei mesi renziani era diventata pienamente azienda, con le regole ciniche di un’azienda che si riflette interamente nella figura del Capo. Ha ceduto proprio nell’ultimo miglio, quelli a cui gli uomini e le donne di Matteo Renzi annettono il valore fondativo più alto dello stare insieme, loro novissimi interpreti, Speranza invece già vecchietto bersaniano (ri)folgorato sulla via fiorentina. Il valore più alto, perché nelle regole del Giglio Magico si possono avere dubbi fino a quel maledetto striscione dell’ultimo miglio, quando cominci a scorgere le due ali di folla che ti aspettano festanti, quando le telecamere fisse si posizionano su quell’uomo in fuga, dominatore di montagne impervie e oggi conquistatore dell’Italia tutta. Ecco, lì davvero non puoi cedere, non puoi mettere la tua coscienza a protezione di una decisione scandalosa, inaccettabile, perché noi quella coscienza te l’abbiamo comprata a caro prezzo e adesso non puoi menarcela con l’etica, il Paese, il Pd. No, caro Speranza, tu sei un fallito e noi coi falliti ci facciamo il brodo.
La storia di Silvio Berlusconi in azienda ha vissuto in qualche modo su parametri simili. Uno dei valori assoluti era – è stato – la fedeltà. La fedeltà dei suoi manager, che erano anche sodali, e raccontatori di barzelletti sconce a ogni inizio di consiglio di amministrazione (a patto che si ridesse di più per quelle che raccontava il Capo, naturalmente). Nessuno ha mai tradito, anche negli anni più difficili, quando ai manager l’opzione galera avrebbe potuto far uscire qualcosa di sconveniente. Invece nulla, il pacchetto di mischia è rimasto granitico e il Capo ha sempre ripagato tutti in modo straordinario per quella fedeltà. Quando c’è stata una crepa, inaspettata, è arrivata da uno donna esterna al gruppo, ma interna ai sentimenti di un avvocato dell’azienda. Era Stefania Ariosto, appunto, e per non essersene liberato con il cinismo che ci voleva, Vittorio Dotti venne gentilmente messo alla porta.
Il gesto di Roberto Speranza ci riporta a un altro Pd, quello perdente e molto confusionario che abbiamo conosciuto bene. Che la decisione del capogruppo contenga percentuali di etica è ovviamente dibattito aperto, ma un fatto è certo: è un cedimento dei sensi. A cui naturalmente Matteo Renzi guarda, nel privato, anche con un certo disprezzo. L’azienda perde un pezzo, ma per qualche giorno tenterà di recuperarlo con abili tessiture perché non si dica che è semplice contabilità da ragioneria politica: questo esce, questo entra. Ma è una prima volta, la prima volta di un soldato, che si credeva riconvertito alla causa, che abbassa il fucile di fronte al nemico disarmato. E come tutte le prime volte ha una sua simbologia. Renzi, che non è stupido, ne terrà conto?
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