Questo centrosinistra è morto quando non ha scelto tra ammucchiata e purezza

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7 Agosto 2022

Diciamocela tutta: questa non coalizione aveva un qualche senso solo a patto di dirsi tutta la verità. E tutta la verità ha provato a dirla Enrico Letta ieri, con al fianco Bonelli e Fratoianni, e con l’imbarazzo di chi sa che è una verità poco onorevole. E cioè, che si sta insieme solo a causa di una legge elettorale che premia le coalizioni e punisce le solitudini. Per cui – l’altro pezzo di verità che non si può dire, eppure andrebbe detto – ci si mette insieme per massimizzare il raccolto di seggi o minimizzare la sconfitta, sapendo che poi in parlamento si marcerà uniti o divisi, alleati o avversari a seconda delle contingenze. Contano poco i programmi di prima, e molto le contingenze di dopo, esattamente com’è stato nelle ultime due legislature, e in quest’ultima nata proprio grazie a questa legge elettorale in particolare. Oppure avrebbe avuto senso – questo è quel che penso io – prendere un’altra strada, non meno scomoda: Enrico Letta avrebbe potuto viaggiare da solo, accettare serenamente il destino di una sconfitta molto probabile ma anche l’opportunità di parlare al mare aperto della società.

Se non ci si dice con chiarezza questo, e che questa era la vera alternativa, ci si trova poi nella condizione che ha portato all’ennesimo psicodramma del centrosinistra (ma meglio sarebbe dire, della “non destra italiana”) da trent’anni a questa parte. Perché si finisce col credere o col far credere che si sta insieme davvero per ragioni programmatiche profonde e per affinità politiche solide, come se fosse in un sistema bipolare/maggioritario, e ci si deve poi scontrare con le frustrazione dei propri elettori puristi, e delle proprie personalità ipertrofiche.

Ed è proprio in questa assenza di chiarezza su quali fossero le alternative, e su quale è stata poi la scelta fatta, che si contestualizza la “fuga” di Calenda, e la fine di un esperimento di coalizione alternativa alla destra che è morta ancora prima di nascere. Tra i tanti demeriti – il principale è essersi sorpreso perché il Pd ha fatto quel che aveva sempre detto di voler fare, cioè una coalizione anche con qualche cespuglio di sinistra – Calenda ha il merito dunque di dire tardi e male quel che appunto doveva essere chiaro da prima: o si fa un’ammucchiata per perdere meglio che si può, e poi chi si è visto si è visto, oppure si va da subito da soli puntando sul proprio orgoglio e sulla propria purezza. Entrambe le opzioni hanno una dignità, ma in mezzo al guado non si può stare.

Così, nello sconquasso provocato dalla fine traumatico di un non amore, restano sul tavolo un po’ di domande senza chiave, che riguardano le troppe differenze e le troppe somiglianze tra diversi attori in campo. Cosa differenzia davvero l’Azione di Calenda dall’Italia Viva di Renzi, a parte il fatto che i due capi non si concepiscono mai come vice-capo? La domanda valeva ieri, che erano in due posti diversi, e vale domani, in cui si troveranno in due diverse solitudini, almeno fino a una scelta diversa. E cosa impedisce al Pd che ha corteggiato i pochi voti dell’antiDraghi Fratoianni di trovare un accordo con chi Draghi l’ha sostenuto sempre, a parte una non fiducia poi rivelatasi fatale, cioè i 5 Stelle? E qual è a questo punto la vera motivazione che spinge il Pd a cercare alleanze fragili, con pezzi di burocrazie politiche mai baciate da grande consenso e difficilmente in grado di cambiare il corso delle cose?

Sono tutte domande che varrebbe la pena farsi, per ritrovare forse anche un pezzo del senso di distanza che separa la politica dal popolo. Che non capisce, comprensibilmente, ciò che infatti sembra impossibile da capire. E quando deve votare cerca conforto nei messaggi semplici, anche semplicistici. Ovviamente non sono la soluzione: e però, evidentemente, non sono l’unico problema. Perché spacciare soluzioni facili è una colpa. Ma risultare sempre incomprensibili non può essere considerato un merito.

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CAT: Partiti e politici

Un commento

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  1. massimo-crispi 2 anni fa

    Dice la Grande Duchesse de Gérolstein, alla fine dell’opera: Quand on n’a pas ce que l’on aime, il faut aimer ce que l’on a ossia: quando non si può avere colui che si ama, bisogna amare quello che si ha… Ognuno, nella sinistra, cerca l’amante perfetto. Ma quest’amante perfetto non esiste, perché ognuno è innamorato di altri (o di sé stesso, più facilmente). Nella destra invece fanno finta di amarsi, e dimenticano o fanno finta di dimenticar eantichi dissapori, anche perché sono convinto che la Meloni, se potesse con un soffio trasformare salvini e berlusconi in animali o piante come Alcina, lo farebbe. Al momento fa finta di amarli e gli altri fanno finta di amarla. Ma gli elettori credono che si amino e questo è sufficiente. In fondo il modello della grande famiglia della destra è quello, tutti insieme appassionatamente. Poi, se uno fa le corna all’altro, l’importante è restare uniti. Purtroppo, per una società assai ipocrita e opportunista come quella italiana, è un modello che funziona.
    Ma la sinistra non l’ha capito.

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