Sembra una tragedia, ma è solo l’operetta di una democrazia in decomposizione

14 Ottobre 2022

La legislatura poteva iniziare meglio, diciamo così. O forse no: inizia esattamente come poteva e doveva, dati molti dei protagonisti che possono vantare – o subire – i risultati elettorali che determinano il nuovo parlamento, e gli equilibri del governo che (forse) verrà. Intanto, a che punto siamo, con il nuovo parlamento pienamente insediato, e i nuovi presidenti di Camera e Senato al loro posto? A che punto siamo, adesso che si entra nel vivo per decidere il governo che verrà, se verrà, quando verrà?

Siamo, intanto, in un paese che affida la guida dei due rami del parlamento a due maschi bianchi, uno di 42 anni e uno di 75 anni. Potrebbero essere padre e figlio, ma sembrano entrambi coetanei del più vecchio, per la società che pensano, quella di cui parlano, quella che rappresentano e quella che, al fondo, teorizzano. Dei due, vien da sè, l’ex fascista 75enne è il più giustificato, sicuramente il più comprensibile. In fondo, tra i due discorsi d’insediamento, quello di La Russa è stato anche il più pensato: è vero che ha parlato come se la piaga della violenza politica degli anni 70 fosse ancora viva per molti e comprensibile per tutti. Entrambe le cose ovviamente sono false, per ovvie ragioni storiche e anagrafiche. Ma almeno nessuno può contestare a La Russa di non aver rappresentato il tempo e il mondo in cui si è socializzato alla politica: il tempo e il mondo, insomma, di un uomo che è tra i pochi superstiti di un’epoca finita.

Fa più impressione, in questo senso, la lingua da burocrate di Lorenzo Fontana, che saluta Papa Francesco con parole convenzionali e Umberto Bossi subito dopo, come si ringrazia uno zio che ci ha fatto studiare (e potevamo anche studiare di più, in qualche caso), e poi sciorina banalità, ma la legge con la fatica di chi non sembra neppure avere contribuito a scriverle. E non è neppure la parte peggiore del discorso: quando si lancia sulla necessità della non omologazione dell’Italia, invece di trovare idee e figure forti, anche provocatorie, a parte qualche citazione incomprensibile al 99,9% degli italiani, non dice nulla. E poi ricomincia con qualche generico e convenzionale richiamo all’unità, alla centralità del parlamento, e una dopo l’altra sgrana il rosario – il suo cattolicesimo tradizionalista forse emerge qui, mentre avremmo preferito sentirlo rivendicato con qualche solidità – delle cose che pooteva dire chiunque altro, da un consiglio di circoscrizione di provincia in giù.

Questo scenario non si realizza ovviamente nel nulla. Anzi. Non è un caso che Senato e Camera siano assegnati in questo modo – a un uomo simbolo di un trapassato che attualissimo solo per lui, e a un altro che appena quarantenne ha idee perfino più antiche e non trova neppure il modo di rivendicarle – mentre la partita vera, quella per la formazione del governo, è impigliata in quel che resta dell’anima, della leadership, del carisma, di Silvio Berlusconi. Di quel che resta dell’ultimo vero leader politico che l’Italia ha conosciuto. Perchè certo, non sapremo mai se la lista di aggettivi poco carini dedicati a Giorgia Meloni e messi per iscritto erano destinati a restare tra lui e Licia, o se fossero scritti per arrivare a noi. In un caso e nell’altro, siamo di fronte all’ennesima umiliazione della politica. Perchè se è uno scarabocchio dal sen fuggito, siamo di fronte a un leader politico che ha bisogno di appuntarsi gli insulti che sente veri per un alleata. Se è tattica studiata a tavolino, va quasi peggio, per ragioni umane e politiche che non hanno forse neppure bisogno di essere spiegate, al termine di un’elezione che ha visto l’arrogante e il suo fustigatore di oggi alleati fino a poche settimane fa, e con l’obiettivo di governare insieme l’Italia. Di sicuro ci sono i rancori di un uomo di 86 anni, che chiede “rispetto”. Per quel che ne sappiamo, al momento, è solo una questione personale, che con la politica ha poco a che fare.

Cosa resterà di questa fase, è davvero difficile a dirsi. Un governo Meloni ragionevolmente nascerà, o forse no. Qualunque cosa succeda, non sarà in ragione degli interessi legittimamente rappresentati, delle alleanze fondate su comunanza di intenti e obiettivi, valori o coscienza. Nemmeno quella nostalgica di La Russa, e neppure quella ultradizionalista di Fontana. Tutte le sensibilità cercheranno ancora una volta il loro posto al sole, in un’alleanza di governo. Meglio se potendo dire di aver rispettato il mandato ricevuto dagli elettori. Finchè dura, e vada come vada. Ma se così non dovesse essere, subito o tra un po’, se dovesse succedere che a un certo punto si torni per l’ennesima volta in questi anni a un governo che si regge su alchimie tra diversissimi, beh: “siamo pur sempre una democrazia parlamentare”.

TAG:
CAT: Partiti e politici

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...