Mentre un duro e puro del Movimento 5 Stelle sale sullo scranno più alto di Monte Citorio promettendo tagli, e una dura e pura del berlusconismo delle origini assume la seconda carica dello Stato pronunciando un discorso pacificato e ordinato come un salotto di una casa per bene, è appena il caso di notare che l’unico che ha vinto davvero è quello che di poltrone per il suo partito non ne ha volute. Si chiama Matteo Salvini, naturalmente, e da oggi, più che mai, ha in mano le chiavi della legislatura.
Da un lato, infatti, obbliga il Movimento 5 Stelle a sporcarsi la “fedina morale” in cambio di una poltrona. Giratela come volete, ma votare al Senato per Elisabetta Alberti Casellati, giurista forzista che chiamava “golpe” le condanne penali di Silvio Berlusconi, per il Movimento è davvero una cosa strana, e chi ha votato Luigi Di Maio sognando di mandare tutti a casa si trova davanti una politica giocata con i misurini e le tattiche di Arnaldo Forlani. Diremmo che è una cosa innaturale, se non fosse che in politica la natura non esiste, e a dimostrarlo è proprio il tradimento evolutivo realizzato da quelli che dicevano “mai alleanze con la vecchia politica”. Dall’altro lato, il leader leghista prima brucia la candidatura di Romani (indigeribile ai 5 stelle e al loro stomaco a due velocità) con il nome di Anna Maria Bernini, fa infuriare Berlusconi che giura che l’alleanza era finita e poi obbliga il vecchio alleato a fare i conti con la realtà. Uno strappo definitivo di Forza Italia avrebbe spinto un pezzo importante dei gruppi parlamentari di Forza Italia a confluire immediatamente verso Salvini. Meglio rinviare questo ineluttabile appuntamento con la storia, trangugiando l’amaro miele di un voto congiunto per le presidenze suggellato, appunto, dal nome di una berlusconiana doc come la Casellati.
In sostanza, la fotografia di oggi ci restituisce, tra i partiti che hanno votato i presidenti, una sola posizione di forza e coerenza insieme, cioè quella della Lega. Può infatti rivendicare fedeltà ai principi costituzionali che vogliono una rappresentanza “larga” per chi presiede i rami del parlamento, tanto che al primo partito italiano è stata riconosciuto un ruolo centrale con l’elezione di Roberto Fico. E può, in subordine, difendersi dall’accusa di slealtà nei confronti di un alleato storico, tanto che è stato a quell’alleato attribuito l’onore della seconda carica dello stato. Può, infine, mostrare grande distacco rispetto alle poltrone, tanto da rischiare di saltare il giro delle presidenze (e non mancavano candidature leghiste spendibili, si pensi a Giulia Bongiorno al Senato) per un bene superiore.
Ovviamente, per la negoziazione sul governo che si aprirà dopo Pasqua, sono queste altrettante cambiali di credibilità e forza da riscuotere. All’appuntamento si presenta ampiamente egemone all’interno della coalizione e in grado, forse, di presentare a breve un pacchetto di mischia di deputati e senatori già più ampio di quelli che il suo partito ha eletto il 4 marzo. Nessuno potrò fargli la predica su questioni morali assortite, nemmeno i moralistissimi grillini che, appunto, hanno votato una berlusconissima al Senato in cambio della poltrona della Camera. Che sia governo di scopo per votare presto o governo politico tutti sanno che le carte, da oggi, le dà lui, dato che l’unica alternativa numericamente possibile a una sua presenza in maggioranza, prevederebbe i 5 Stelle alleati con tutta la sinistra, cosa più che mai improbabile.
Nel suo angolo, appunto, sta il Pd. Nella partita per le presidenze non ha toccato palla, e rivendicano tutti che sia stato un atto volontario. L’inizio di un Aventino che sarà suggellato dall’opposizione a qualunque governo, promessa fondata sull’errore logico che aver preso pochi voti abbia relegato il pd per forza all’opposizione, mentre in un sistema proporzionale la maggioranza e l’opposizione la fanno gli accordi parlamentari. In questo Aventino si è preferito fin da subito vedere nascere una maggioranza inquietante a trazione leghista piuttosto che giocare una partita politica determinata magari spregiudicata per dare alla luce ipotesi migliori. È una scommessa che nel medio periodo, pensano dalle parti del Pd non più di Renzi ma ancora renziano, pagherà un buon dividendo. Che sia possibile è vero. Che sia scontato è falsissimo. Senza ricominciare a parlare nella e della società, nessun ritorno di successo arriverà. Stare all’opposizione aspettando l’altrui schianto senza costruire e interpretare un’alternativa seria sarebbe solo l’ennesimo giochino politicista destinato a schiantarsi nelle urne. Il 4 marzo è troppo vicino per aver già rimosso la sua lezione.
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