Tra slogan renziani e totem sindacali

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13 Novembre 2014

Un senso di smarrimento, di totale spaesamento, avvolge il cittadino italiano. Forse nel cuore di molti inizia ad albergare l’antico sentimento del “benaltrismo”, facendo rima con astensionismo. In effetti, di fronte al balletto politico è facile richiedere “ben altro”. Magari il cittadino ha creduto davvero nel cambiamento, annunciato come una rottamazione. Poi il cambiamento è diventato un genere letterario della politica italiana, che sembra rimasto solo un romanzo di fiction, una “narrazione” priva di impatti sulla condizione del Paese

L’elettore, non per forza solo di sinistra, è compresso tra gli slogan del renzismo e i totem del sindacalismo. E, mentre avverte questo senso di compressione, è costretto ad ascoltare le urla rilanciate da un blog, che talvolta tracima nelle piazze. Le avvisaglie di questo racconto erano arrivate già qualche settimana fa, quando sull’asse Roma-Firenze si consumava un duello a distanza, una sorta di derby tra Piazza San Giovanni, storico ritrovo della sinistra, e la Stazione Leopolda, la culla della rottamazione.

Le cronache di mercoledì 12 novembre hanno consegnato il quadro di una giornata di ordinaria politica. La Cgil ha proclamato lo sciopero generale per venerdì 5 dicembre, attirando ovvie ironie sullo sciopero-ponte, visto che l’8 dicembre arriva di lunedì. Senza voler avanzare insinuazioni, o peggio mancare di rispetto all’agitazione decisa dal sindacato, sarebbe stato più saggio individuare un’altra data per manifestare il dissenso verso il governo. La macchina di comunicazione renziana è scattata con la tempesta di ironie.

Al di là di tale aspetto, qualche dubbio si insinua nella strategia della sinistra “anti-Renzi”: è legittimo scioperare, ma è anche fortemente gradito che la piazza eviti di arroccarsi su posizioni vetero-sindacaliste. La richiesta di lavoro è sacrosanta, ma un sindacato moderno dovrebbe cercare di portare soluzioni concrete sul tavolo della trattativa. Se non altro per farsi perdonare, agli occhi dei più giovani, la disattenzione nei confronti della nascita e della proliferazione del precariato. Più di qualche osservatore teme – a ragione – che quella piazza sia il seme per il partito di sinistra che verrà dopo una (eventuale e possibile) scissione del Pd.

Mentre la sinistra-sinistra sceglie la rotta dell’autoconservazione, rifugiandosi nei suoi totem, il papà della rottamazione, Matteo Renzi, si limita a fornire i soliti titoli. Una rottamazione a mezzo stampa, anzi social, ricca di hashtag brillanti su Twitter. Sull’approvazione della nuova legge elettorale è stato detto di tutto. L’ultima versione è che l’approvazione deve avvenire entro febbraio, probabilmente per garantire a tutti un altro anno di legislatura.

L’unica vera rottamazione è quella degli oppositori interni, come ha confermato l’assenza di Pippo Civati alla direzione nazionale del Pd. Non proprio il sogno del cittadino italiano. I paralleli con il passato vanno dal “Renzi democristiano”, al “Renzi come Craxi”: al netto della possibile veridicità di questi pensieri (che andrebbero sviscerati in maniera approfondita), è un segnale che la politica sta rivivendo un vecchio film.

Una narrazione fatta con strumenti diversi, ma non dissimile da quanto accaduto nel passato. Così il presidente del Consiglio va di priorità in priorità, con la strategia dell’annuncio roboante che infonde speranze, forse pure una sana dose di fiducia, ma tra i cittadini alimenta qualche legittimo sospetto. Che servirebbe ben altro.

TAG: Matteo Renzi, Pd, rottamazione
CAT: Partiti e politici

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