Voto in condotta: ti boccio (o ti rimando) col sei

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20 Settembre 2023

Come al solito, è difficile capirci qualcosa della nuova legge sulla scuola, appena approvata dal Consiglio dei Ministri. Il DDL del 18 settembre è scritto in puro burocratichese ed è dedicato sia alla riforma delle scuole tecniche e professionali che alla revisione della “Disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti”. Dico subito che la tanto decantata riforma degli istituti tecnici e professionali che Valditara aveva promesso consiste nella riduzione (oggi applicabile solo al 30% degli istituti che parteciperanno alla sperimentazione) degli anni curricolari da cinque a quattro. Dopo di che, chi vuole, va subito a lavorare, oppure frequenta due anni di ITS Academy (e poi va a lavorare). Non sarà quindi più possibile iscriversi all’università, a meno di non fare un quinto anno integrativo (ma il DDL tace su questo argomento), per chi frequenta una delle scuole “riformate” da Valditara. Ma su questo punto varrebbe la pena di fare altri approfondimenti, perchè il testo di legge è veramente molto oscuro.

L’unica cosa, invece, vagamente comprensibile del DDL è che il voto in condotta torna di prepotenza sulla scena scolastica. Alle scuole medie, il voto si trasforma da giudizio (distinto, sufficiente, eccetera) a voto espresso in decimi. Alle superiori, gli insegnanti avranno il potere di rimandare a settembre (o non ammettere all’esame di maturità, se il ragazzo frequenta il quinto anno) un allievo che prende sei in condotta, mentre in precedenza era solo il cinque a determinare la non ammissione alla maturità o la bocciatura (a giugno). C’è poi una seconda novità: prima del pomposo DDL sulla valutazione del comportamento, non era possibile essere rimandati a settembre in condotta, adesso invece sì. Tra le materie che lo studente potrà recuperare a settembre, entra quindi anche la condotta (vedremo in quale modo si svolgeranno questi esami di riparazione).

Ma non solo, grazie al DDL diventa possibile dare sei in condotta a un alunno anche se non ha commesso atti gravi o reati, come per esempio episodi di vandalismo, ma il voto può essergli attribuito “anche con riferimento alle violazioni previste dal regolamento di istituto” (sempre secondo il DDL). E qui entriamo in un campo a dir poco minato.

Le griglie valutative emanate dagli istituti scolastici sono infatti tutte diverse, e prevedono una macedonia sempre nuova di ingredienti nelle scale di valutazione delle diverse materie, comprese naturalmente quelle relative al “comportamento”. A ogni voto è associato un certo grado di comprensione o incomprensione delle materie e, nel caso del voto di condotta, il voto è correlato a specifici comportamenti (buoni, cattivi, gravissimi). Affermare, come fare il DDL sulla scuola, che il sei in condotta può essere dato anche a chi ha violato genericamente le norme previste dal consiglio di istituto, significa rendere generico il concetto di “cattiva condotta”. Il sei in condotta può quindi scattare quando viene violata qualche norma (quale, di quale gravità?) tra quelle previste dalle griglie del consiglio di istituto.

In questo modo, dare sei in condotta sarà molto più facile e il voto sul comportamento risentirà di una notevole arbitrarietà, nel senso che un insegnante potrà proporre al consiglio di classe il sei in condotta per uno studente non perchè ha spaccato dei banchi o aggredito un docente, ma perché è arrivato in ritardo un paio di volte a lezione, fatto senz’altro da riprovare, ma che di per sé non dovrebbe giustificare il fatto che lo studente non venga ammesso all’esame di maturità, soprattutto se i suoi voti nelle materie di studio sono più che decenti.

Ma il problema non è solo la maggiore arbitrarietà lasciata agli insegnanti nell’attribuire un cattivo voto di condotta. Il problema è anche la vaghezza su come vengano effettuati a settembre gli esami di riparazione in condotta. Negli anni che precedono quello della maturità, il sei in condotta potrebbe infatti essere “rimediato” a settembre, grazie “alla presentazione da parte degli studenti, prima dell’inizio dell’anno scolastico successivo, di un elaborato critico in materia di Cittadinanza attiva e solidale assegnato dal consiglio di classe in sede di scrutinio finale, la cui mancata presentazione o la cui valutazione, da parte del consiglio di classe, non sufficiente comportano la non ammissione dello studente all’anno scolastico successivo”.

Se quindi uno studente prende a colpi d’ascia i banchi della scuola, mentre un altro arriva tre volte in ritardo a lezione,  tutti e due possono prendere sei in condotta e fare l’esame di riparazione. A settembre si presenteranno con il famoso elaborato critico in materia di “Cittadinanza attiva e solidale” (ma che diavolo è?), sul quale verranno poi giudicati dal consiglio di classe, che deciderà se ammetterli o meno all’anno seguente, sulla base di chissà quali criteri. L'”elaborato” era ben scritto? Il ragazzo che lo esponeva sembrava sinceramente pentito? Non lo sappiamo. Se invece il sei in condotta viene dato al quinto anno delle superiori, allora la bocciatura è secca e senza rimedio, a giugno, e senza nessuna possibilità di redenzione (come quella affidata all’elaborato).

Ma perché tutta questa attenzione al “comportamento” degli studenti, a cui si dà un valore maggiore che non al loro impegno scolastico? Ce lo spiega il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dichiara a proposito del nuovo DDL: “Riportiamo la cultura del rispetto nelle scuole e rafforziamo l’autorevolezza dei docenti. È una svolta molto attesa dalla società italiana“.

La società italiana (non si sa bene da chi sia composta questa società, ma non facciamoci troppe domande) si aspetta quindi rispetto e severità, a scuola, secondo quanto sostiene un presidente del consiglio che ha frequentato un istituto alberghiero, con profitto, per carità, ma poi ha scelto di non continuare gli studi per fare politica, ovvero iscriversi al Fronte della Gioventù e partecipare a fumose riunioni in sezione nonché a manifestazioni che a volte si potevano anche concludere con qualche bel tafferuglio.

La scelta di non proseguire gli studi, dopo le scuole superiori, è stata condivisa anche da uno dei nostri viceministri, il signor Salvini, che ha preferito anche lui la politica all’università, come se fare politica fosse il contrario di studiare. Nei paesi europei dove all’università si studia l’arte della politica (faccio un esempio banale: la Francia), a nessuno passerebbe per la testa che se vuoi diventare Presidente del Consiglio devi stare lontano dall’università. Ma in Italia, sì, meglio andare alle riunioni di sezione e imparare a fare i video su Tik Tok se stai pensando a una carriera in politica.

Ecco quindi che i due politici italiani più importanti, ma forse meno preparati per il loro ruolo, invocano un maggior potere punitivo degli insegnanti sugli studenti, perchè solo bocciando ed espellendo gli studenti peggiori dalla scuola italiana, si potrà finalmente purificarla dagli elementi che ne determinano il cattivo andamento. Come se la responsabilità del fatto che  le scuole italiane ricevono dei punteggi bassi nelle classifiche internazionali OCSE-PISA, nonché negli INVALSI, non dipendesse dal sistema politico italiano che ha prodotto una serie di riforme scolastiche mal concepite e peggio applicate, ma dal fatto che gli studenti non hanno mostrato “rispetto” nei confronti dei loro docenti, che adesso potranno finalmente punirli come si meritano.

Il DDL appena approvato dal Consiglio dei Ministri dà di fatto agli studenti la colpa di una scuola che non ti insegna più a capire un testo e far di conto (come decretano i test INVALSI, esclusi naturalmente i soliti licei classici e scientifici delle regioni del centro-nord), perché gli studenti mancherebbero di rispetto ai loro professori. Tutti gli altri soggetti coinvolti nella scuola, ovvero il Ministero dell’Istruzione, che definisce gli indirizzi scolastici nonché i contenuti dei programmi di studio, e gli stessi insegnanti, che possono essere più o meno bravi e più o meno empatici nello svolgimento delle loro funzioni educative e istruttive, non sono più responsabili di nulla, visto che il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni,  fa delle dichiarazioni che sostanzialmente significano: “Puniremo chi se lo merita – gli studenti – e la scuola italiana andrà molto meglio!”.

Ecco quindi la ricetta della destra italiana per la scuola: una bella punizione (Valditara all’inizio parlava di “umiliazione”, poi ha ammorbidito i suoi toni) ai cattivi studenti, e tutto tornerà a posto. La nostra scuola risalirà nei punteggi internazionali delle classifiche OCSE-PISA e Valditara se ne prenderà il merito: “Quello che ci voleva era solo un po’ di educazione…”.

Naturalmente il decreto legge sugli istituti tecnici e professionali, e sul voto in condotta, non sposterà di una virgola i risultati negli INVALSI degli studenti italiani (sono bravi solo quelli che frequentano i licei del centro-nord, e pessimi praticamente tutti gli altri), ma questo a Valditara non interessa, perchè sulla scuola fa solo un po’ di propaganda (con i ferri vecchi della destra) mentre cerca  operai da mandare in fabbrica, dopo quattro anni di scuole tecniche o professionali, perchè chi le frequenterà, non potrà più iscriversi all’università. Su quest’ultimo punto (la possibilità o meno di iscriversi all’università per chi frequenta le scuole “riformate” di Valditara) sarà necessario che il Ministro dia qualche spiegazione. Così com’è, il DDL sulla scuola è solo e veramente una porcata.

 

TAG: condotta, giorgia meloni, istituti professionali, istituti tecnici, istituti tecnici superiori, Lollobrigida, Meloni, scuola, valditara, votodicondotta
CAT: Partiti e politici

Un commento

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  1. andrea-lenzi 8 mesi fa

    I conservatori che fanno leggi in materie così delicate sono un pericolo per la società civile (lasciare indietro i “meno meritevoli” vuol dire creare una società futura con problemi tanto più grandi quanto più è alto il numero di coloro i quali non sono stati aiutati), senza contare che sono soliti sottrarre soldi alla scuola pubblica per favorire la privata, in particolare la cattolica, attraverso la detrazione fiscale delle quote pagate, ma addirittura usano il budget della scuola pubblica per pagare gli “insegnanti” di religione, cioè lo stato laico paga la propaganda cattolica a sue spese. Emblematica fu l’assunzione senza concorso di 13.800 insegnanti di religione da parte del governo Berlusconi nel 2009 circa, cioè quasi un miliardo all’anno che la scuola pubblica potrebbe usare per cose realmente utili per gli alunni ed i loro genitori

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