Ministro Poletti, lei si è fatto usare (e non è l’unico): errore blu
Non escludo di aver frequentato occasionalmente qualche galeotto, sedendomi alla sua tavola. Se è accaduto, e ancora oggi non lo so con certezza, in quel momento non ne conoscevo l’attitudine malavitosa, come è lecito immaginare sia accaduto anche al ministro Poletti. Qualche giorno fa, su Stati Generali, un sapido pezzullo si prendeva gioco della signorina Pini Giuditta, deputatessa Pd, la quale da barricadiera dichiarata contro il regime renzista, si sprofondava piacevolmente nelle mollezze della tavola blairiana a Palazzo Chigi. Un piccolo cambio di prospettiva ampiamente giustificato dalla personalità dell’ospite d’onore.
Se possibile, i destini del ministro Poletti e della signorina Pini viaggiano paralleli e non vi appaia troppo spericolato l’accostamento tra due situazioni, due cene, così diverse. In fondo, se lei avrà raccontato a un sacco di amici l’indimenticabile serata con Tony Blair, non è affatto escluso che Poletti sia tornato a casa convinto che questo Buzzi fosse anche un tipo simpatico (Poi certo, quel tipaccio dietro nella foto in canotta azzurra a un tavolo vicino poteva magari fargli venire un sospetto).
In queste ore il ministro Poletti è sotto schiaffo planetario perché, bene che vada, fa la figura un po’ del fesso, mentre la signorina Pini se l’è cavata semplicemente con qualche malizia (di Stati Generali e probabilmente di chi ne conosceva l’avversità renziana e adesso sorride ai suoi cambiamenti). I due però hanno sottovalutato un aspetto fondamentale: se stessi, il loro peso politico e umano, la loro storia personale, le loro idee e molto altro che riguarda la propria identità. Non hanno peccato di leggerezza, aderendo a una cena che in qualche modo si è rivelata discutibile (ognuno per i suoi aspetti), ma – ecco il grande errore – hanno messo in mani estranee la loro credibilità.
Il vero peso, quando si è personaggi pubblici, la vera responsabilità è esattamente questa. Sapere che tutto un certo mondo avrà interesse a portarci dentro, a gloriarsi della nostra presenza perché con la nostra presenza – di persone certamente ragguardevoli sul piano etico o su quello squisitamente politico – tutti gli “altri”, a vario titolo, ne godranno immeritatamente. E se a Renzi fa assolutamente comodo portare “dentro” nel suo convivio un fiero oppositore come Giuditta Pini, mostrando così una liberalità che gli fa gioco nel momento in cui tutti lo accusano d’essere un uomo solo al comando, figuriamo quei tangheri di Buzzi & C. come potevano godere nell’avere al proprio tavolo di sgavazzo una personalità come Poletti.
Questo discorso vale in fondo per molte categorie, giornalisti compresi. Se non è praticabile la via tortuosa di chiedere a ogni commensale la fedina penale, è giusto pretendere da se stessi con molta forza e precisione uno sforzo di consapevolezza, cercando di capire in quale contesto ci si infila e se è compatibile, in termine di ambiente, di gusto, di stile, di armonia, con la propria storia. È uno sforzo che dobbiamo a noi stessi ma, prima di tutto, alla collettività che ha fiducia in noi. Questo non significa rinchiudersi, fare una vita monastica, evitare la socialità. Per un politico, poi. Significa selezionare con attenzione, pesare, valutare anche le sfumature. Poi, alla fine si può sbagliare ugualmente ma con l’animo più leggero.
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