Giachetti, per vincere devi essere Radicale

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23 Aprile 2016

Virginia Raggi, candidata 5 Stelle a Sindaco di Roma è telegenica e spigliata. Fa simpatia, non c’è dubbio, e non stupisce sia stata proprio la sua video-presentazione a vincere il concorso online indetto dal genovese Beppe Grillo e dalla famiglia milanese Casaleggio per la selezione del candidato Sindaco alla Capitale d’Italia.
La Raggi non ha un programma per Roma, ha un metodo. Il metodo è la legalità. Della serie: gli appalti si fanno con gara – ma va? E il biglietto sull’autobus si paga – oh là là! Il metodo 5 Stelle si fonda sull’ossimoro – meglio le strade senza buche che con le buche; meglio gli autobus che arrivano puntuali invece che in ritardo. Cose così.

Un argomento forte però la Raggi ce l’ha. Roma è stata ridotta nella miserevole condizione in cui versa dalla cricca spartitocratica che in buona parte ancora si propone come soluzione – essendone invece stata il problema. Il mix appalti-agli-amici e sviluppo-palazzinaro è ancora vivo e lotta in mezzo a noi. Basti pensare al ‘grande’ progetto olimpico di Montezemolo – sì, lo stesso Montezemolo del marciume corruttivo di Italia 90 – e Malagò – lui, quello delle piscine inagibili per cui i romani, bontà loro, ridono ancora amaramente rassegnati.

Roberto Giachetti è la sua storia, che è una storia – su questo insiste il candidato Pd ed ha ragione a farlo. Perché la storia di Giachetti è Radicale non piddina. E storia Radicale significa né propalare miracoli né sgolarsi in piazzate al grido onestà onestà. Radicale significa essere legalità, essere effettività. Significa fare la differenza. Stato di diritto, applicazione delle regole ché in democrazia le cose si possono fare, comprese le Olimpiadi. Le cose in democrazia si fanno ovviamente in maniera legale; si fanno ovviamente in maniera trasparente; e si fanno però meno ovviamente in maniera intelligente.

Ora, Giachetti non ha ancora sviluppato un programma ma alcune indicazioni le ha già date. Tra queste la presunta rivoluzione delle liste pulite, cioè l’elenco dei candidati sottoposti al vaglio di Rosy Bindi come se la Commissione parlamentare antimafia avesse, oltre al potere di verifica preventiva dei certificati penali dei candidati, anche quello divinatorio sulle azioni future che i potenziali consiglieri – tutti penalmente lindi – potrebbero compiere nell’esercizio delle proprie funzioni. Una finzione paracula più che una soluzione Radicale, va detto.

Tra le cose su cui Giachetti punta per valorizzare la sua candidatura anche una costellazione rappresentativa della Roma che vale, un firmamento prestigioso nel quale spicca Alessia Filippi da Tor Bella Monaca, campionessa olimpionica a Pechino e capo della lista civica per Giachetti, che ha esordito dicendo: ”Io non mi sento di parlare proprio di politica”.  Okkey, dunque?
“Voglio aiutare i ragazzi che non hanno la possibilità di fare sport il pomeriggio, magari perché i genitori lavorano e non possono accompagnarli a fare sport a scuola, prolungando il tempo dello sport dentro la scuola. Vorrei anche aiutare i ragazzi della periferia a uscire dalla strada e a fare sport, ma anche arte, musica e tantissime altre cose”.
Bello, ma sta cose non si possono fare anche da volontari e senza dover necessariamente occupare uno scranno in consiglio comunale?

Altra cosa su cui Giachetti ha manifestato certezza è che nessuno degli oltre 60 mila dipendenti comunali sarà ritenuto superfluo. Cioè la macchina burocratica che Giachetti ha confermato da Mentana di voler riformare nei 5 anni della sindacatura potrà – secondo il candidato Pd – rivoluzionarsi per rispondere ai bisogni dei romani rimanendo la stessa struttura pachidermica, insensata e irresponsiva di oggi. E qui – va dato atto – difetta la ratio.
Né Giachetti ha intenzione di liberare i trasporti locali dal giogo spartitocratico-corporativo che tiene i romani ostaggio degli scioperi abusivi per le feste comandate, e dell’arroganza para-criminale di una categoria di impuniti – i dipendenti Atac – che tiene in scacco Roma con le prerogative assolutiste che manco il dittatore nordcoreano si permetterebbe di esercitare. Non vuole privatizzare Atac, Giachetti. Non vuole manco pronunciarsi sul management attuale. Dice che prima gli vuole parlare. Vabbé.

Sfugge, infine, come Giachetti intenda dare conseguenza all’impegno di far partecipare i romani, consultarli, renderli protagonisti delle scelte sulla città, dunque dei loro soldi, se continua ad opporsi al referendum consultivo sulle Olimpiadi – consultivo, non abrogativo ché non c’è alcuna norma comunale da abrogare – su cui l’altro giorno la commissione referendaria di esperti nominata dal Comune ha dato parere favorevole. Il referendum dunque, raccolte le firme, si farà. E non sarà né contro né pro: il referendum ha l’obiettivo di far conoscere ai romani il prodigioso progetto del duo Montezemolo-Malagò che verte sullo sviluppo residenziale di Tor Vergata comprensivo di laghetto a ridosso delle piste dell’aeroporto di Roma – dove un laghetto appunto non si può fare. E che siano i romani, in piena consapevolezza, a deliberare se sì o no. Qual è il problema?

La storia di Giachetti – si diceva – è storia radicale. E la storia radicale – senza scomodare Pannella e Bonino – è certezza di capacità, serietà, indipendenza. Cioè è sostanza, non è un blog né una consorteria di affaristi. E i Radicali a Giachetti in queste abbastanza cruciali elezioni per la Capitale d’Italia stanno dando una mano. Hanno presentato una lista a sostegno del compagno Giachetti a capo della quale c’è Riccardo Magi che da consigliere comunale uscente ha votato una infinità di volte contro la maggioranza fuffarola di Ignazio Marino, pur essendo in quella maggioranza. E tra le volte in cui Magi ha votato – unico nella maggioranza – contro la maggioranza, c’è anche la volta in cui il Consiglio comunale ha dato il via libera alla mozione – non la delibera – a favore delle Olimpiadi di Roma. Grande entusiasmo nel consesso capitolino per un progetto di cui non era stato presentato ancora nemmeno, appunto, un progetto.

Giachetti vuole lanciare un messaggio positivo ai romani – e questo è bello. Vuol restituire Roma alla grandezza di Roma – e questo è ancora più bello. Ma i manifesti patinati e l’entusiasmo per le virtù sviluppiste della grande opera olimpionica non suonano affatto incoraggianti. Ed ancor meno incoraggiante suona la modalità con cui il messaggio positivo e la prospettiva di riscatto viene declinata nei piani del candidato Pd, cioè la sostanziale conservazione della dimensione pubblica e del malinteso rapporto tra pubblico e privato – che sono esattamente quelle cose che impediscono a Roma di essere Roma.

La rivoluzione vera si avrebbe con un Giachetti che torni a fare il Radicale. Punto. Che esca da questo ambiguo equilibrismo tra vecchi piddini di pessima fama e para-piddini privi di alcuna qualità, e prenda piuttosto il radicale Magi con sé e ne faccia – di lui e dei Radicali romani – l’acqua con cui spegnere la fiammella grillina che non si alimenta di altro se non del – sensato – indice puntato contro i soliti metodi, le solite facce, il solito habitat parassitario che promana dal circolino elettorale che da settimane si agita attorno alla bella faccia pulita del Radicale Roberto Giachetti.

@kuliscioff

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CAT: Partiti e politici, Roma

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