Una scuola senza poesia

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7 Novembre 2021

Della scuola non si smette di parlare, la sovrabbondanza di analisi la sommerge, ma il dato chiaro è che da anni la scuola ha smesso di essere un luogo di cultura.

Recentemente tutta la colpa del crollo degli apprendimenti è stata attribuita alla DAD: la full immersion nel digitale ha prodotto un lockdown cognitivo, ragazzi smarriti e depressi hanno perso ogni motivazione allo studio, nella migliore delle interpretazioni hanno affinato le tecniche volte a gabbare i docenti, copiando e industriandosi a leggere da varie fonti durante le verifiche orali.

Non sono mancate critiche agli insegnanti: impreparati all’uso del web, bisognosi di formazione, i soliti scansafatiche ben felici di restare a casa a beneficiare della comodità della didattica digitale, si sarebbero limitati a fare il minimo indispensabile.

Gli effetti di questa catastrofe sarebbero testimoniati e certificati dai pessimi risultati conseguiti dalle scuole nei test Invalsi.

Ogni sintesi forse ha il difetto di semplificare, ma in buona sostanza la realtà è questa: il tanto auspicato digitale fa acqua da tutte le parti e i docenti sono il capro espiatorio su cui scaricare gli annosi mali della scuola. Certo, è innegabile che ci sarà stato qualcuno che ha lavorato poco e male – si tratta di un dato che peraltro sarà stato registrato anche in altri ambiti lavorativi transitati allo smartworking, che per certi aspetti potremmo considerare omologo alla DAD – ma non si può assolutamente negare lo sforzo compiuto dalla maggioranza degli insegnanti che, senza mai venir meno alle loro responsabilità educative, hanno incoraggiato studenti disorientati e rassicurato genitori in ansia per le inedite difficoltà scolastiche del periodo pandemico.

A dire il vero a rappresentare le reali difficoltà della scuola non sono i docenti (anche se forse fa comodo a molti pensare il contrario) né il digitale in sé (piuttosto alla scuola ha fatto male l’acritica celebrazione della didattica digitale negli anni precedenti alla diffusione del COVID 19).

Il vero problema della scuola è in chi la dirige: non tanto i dirigenti scolastici che sono ormai stati ridotti a meri burocrati, esecutori di direttive che devono obbligatoriamente applicare, ma proprio la politica che da anni con la sua inadeguatezza ha prodotto riforme scolastiche apportando piccole e insignificanti variazioni a un’idea portante che accomuna tutti i provvedimenti finora assunti: impoverire la scuola di contenuti, depauperarla culturalmente, renderla uno spazio ludico-aggregativo e di socializzazione (parola su cui si è insistito fino alla nausea e con tanta retorica, anche nei tempi in cui la malattia pandemica imperversava e socializzare era impossibile). Da anni ormai i politici di ogni orientamento si sono impegnati a trasformare la scuola in luogo di addestramento alle logiche del mercato attraverso i percorsi di alternanza scuola-lavoro che, sì, hanno cambiato nome (da ASL in PCTO, acronimo di “Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento”), ma non la sostanza neoliberistica che li contraddistingue. A ciò si aggiunga la curvatura della didattica verso azioni ipervalutative, certificative, testificatrici che trovano nel Leviatano Invalsi la quintessenza della distruzione, la “rottamazione” di ogni senso formativo e culturale che la scuola – quella che Calamandrei sognava – dovrebbe avere.

Un simile spirito incendiario da anni aleggia nelle stanze ministeriali e sta operando progressivamente e in modo costante per bruciare ogni traccia di ciò che si dovrebbe intendere quando si pronuncia la parola “scuola”.

Le conoscenze sono state sostituite da vaghe e non precisate, o comunque parziali, “competenze”, con il risultato della reductio ad unum di buona parte degli insegnamenti umanistici veicolati attraverso le letterature classiche, moderne e contemporanee, a “competenze linguistiche” comprese nel cosiddetto “asse dei linguaggi”, come se la funzione della lingua fosse solo la comunicazione di informazioni e non anche la trasmissione di un patrimonio di emozioni, sentimenti e valori che sono appannaggio della poesia. E la poesia, sia sa, non adotta certo il codice comunicativo ordinario: quindi non serve direttamente ad acquisire “competenze linguisitiche” fruibili per la comunicazione e spendibili sul mercato del lavoro che a quanto pare è ormai l’unico orizzonte a cui la scuola è asservita. Allora, ne facciamo a meno?

In effetti sembrerebbe questa la soluzione finale: incentivare le STEM, le discipline scientifico-matematiche, e subordinare alla sola funzione comunicativa la didattica delle discipline letterarie.

Risulta paradossale, poi, che si insista tanto sulle competenze comunicative in un momento storico in cui la discussione, il parlamentarismo, la democrazia sembrano essere sclerotizzate da forme di insofferenza per ogni mediazione affidata alla parola: dalla dirompenza del “vaffa” in poi, il linguaggio è scaduto, spesso è trivializzato, l’uso di piattaforme digitali per il confronto con i cittadini è ormai trasversale alle varie formazioni politiche e il sogno della disintermediazione, della seduzione via social per ottenere consensi e far crescere followers, sono ormai l’atteggiamento più diffuso nei leader politici: un surrogato della democrazia, non certo l’espressione di una  visione della politica veramente dialogante.

I politici non si esprimono più con discorsi capaci di emozionare e persuadere, perché non sanno immaginare, non sanno sognare e far sognare, non sono capaci di evocare, non possiedono una visione alternativa alla mediocrità del presente e perciò non sanno suggerire niente che non sia rabbia. Al loro linguaggio manca lo slancio della poesia, i loro miseri concetti sono privi della fantasia che ci vuole – diceva Gramsci – per saper “sentire” il dolore di chi soffre e porvi rimedio.

Oggi le competenze linguistiche che le nuove tendenze didattiche vogliono potenziare forse mirano a costruire individui capaci di battagliare a parole – come negli anni declinanti della democrazia greca – ma del tutto inadeguati a penetrare l’animo umano.

Cfr.: https://www.blogger.com/blog/post/edit/1883075300327254901/3835507636046615655

 

TAG: politica, scuola
CAT: Partiti e politici, scuola

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