Enti locali
Il PD in Campania, il più grande disastro intellettuale della sua storia
In tempi normali e ragionevoli il Sud evocherebbe un’autentica alternativa al sistema socio-politico che vi perdura da tempo, inchiodato com’è a una indecente condizione che ne definisce ogni aspetto
Credo di avere qualche conoscenza della Campania, non solo perché sono di quella regione e mi capita di osservarne direttamente i fenomeni sociali e politici in veste di comune osservatore, ma anche perché mi è capitato di studiarne, sia pure in modo non approfondito, la storia, a partire dalla sua antichità, finendo per avere qualche cognizione dei processi di cambiamento delle diverse epoche, utile per allestire finanche un confronto con la contemporaneità. Applicando il rasoio di Occam vengo immediatamente al dunque: dopo anni di commissariamento, il PD campano diventerà, mediante il suo imminente congresso di Settembre, merce di scambio per accordi che esulano dall’attuazione di uno studio di idee e di un conseguente programma politico per la regione, scegliendo di passare da una fase amorfa a una insulsa. La scelta del figlio di Vincenzo De Luca alla guida del partito sarà il nuovo frutto di un’intesa a cui i vertici lavorano da tempo per indurre il governatore uscente a sostenere la candidatura del cinquestelle Roberto Fico alla sua successione. Si predilige, in pratica, un uomo come guida di una regione, piazzandone un altro a sovrintendere una forza partitica (giammai politica) importante.
Mi rendo conto che ai più potrebbe sembrare anche una doppia mossa strategica, se non fosse per il fatto che ancora una volta il PD e i suoi vertici mettono da parte la pratica, l’arte e la scienza del buon governo per ottemperare a una vecchia prassi pseudopolitica, che contempla un inerte e stazionario scambio di pedine su uno scacchiere dove qualsiasi mossa muove da interessi particolari e mai collettivi. Davvero la politica può essere intesa come la continuità di comando, all’interno della stessa famiglia, che sovrintende a un’organizzazione di affiliati? E quale sarebbe, a questo punto, la differenza con ben altre tipologie di organizzazione, ben note a tutti e in special modo alla magistratura?
E allora penso ai tanti “meridionalisti” di partito, che orgogliosamente rivendicano le bellezze del luogo e vanno cianciando dell’ingiustizia secondo cui il Sud è rimasto indietro perché sfruttato dal Nord. In parte sarà vero, ma nella fattispecie che vede “uno qua, l’altro là, e a tutti ben starà”, cosa c’entra il settentrione con i meridionali che assistono esterrefatti e inermi l’alta pianificazione programmatica dei cervelli del PD? E gli intellettuali legati all’area politica del partito non hanno niente da osservare? Ma come, Roberto Saviano, ti trovi di fronte a un’organizzazione politica simil-camorristica e non ne riconosci la struttura, proprio tu che tra camorra e “Gomorra” hai eretto un piano di sapienza non indifferente? E tu, Maurizio De Giovanni, fine giallista che manco Simenon, così lesto a parlar di calcio in tv e a stringerti al tuo Napoli, ma non alla tua Napoli, ti accorgi, o no, che il partito, nella nostra regione, sta prendendo una deriva che ci porterà indietro di un secolo?
Forse, sarebbe ora di avere ben chiaro in mente che non vi è nessuna dominazione politica del Nord nei confronti del Sud e che, sin dall’unità d’Italia, le classi dirigenti meridionali sono state sempre ampiamente rappresentate nel parlamento e nel governo. Dal 1887 al 1922 ben cinque presidenti del Consiglio furono meridionali: Crispi, Starabba, Salandra, Orlando e Nitti. Nell’Italia repubblicana, poi, l’influenza dei gruppi di potere meridionali è cresciuta ancora, considerato che il partito a lungo egemone, la DC, aveva i suoi punti di forza elettorale proprio nel Meridione. Per quanto mi riguarda, chi ha soffocato il Mezzogiorno, sono state le sue stesse classi dirigenti. E, oggi, la triste consuetudine ha prolungamento in un permanente marasma politico, dove uno dei peggiori governi di sempre e le forze di opposizione di chiara inconsistenza assicurano un tempo minimo, trascurabile, di grande pochezza.
Se guardiamo gli ultimi dati dell’economia del Mezzogiorno che emergono dai rapporti dello Svimez, possiamo accorgerci che il quadro sociale è davvero inquietante. L’Istituto rende conto di un Sud condannato al disagio e all’arretratezza, dove il 31,2% dei lavoratori restano in condizioni di povertà. Eppure, non di rado sento qualche strillone inneggiare alla “Campania Felix”, come se l’attuale regione comprendesse città particolarmente sviluppate e ricche, come lo furono Pompei, Surrentum e naturalmente Neapolis, quando la regione era una terra caratterizzata dal flusso della cultura e delle tradizioni, con un clima mite e un terreno fertile grazie alla presenza di fiumi incontaminati. Strategicamente perfetta, quindi, per il commercio, disponendo di un’ampia fascia costiera sul Mar Tirreno, dove erano dislocati alcuni dei fiorenti centri e principali scali commerciali della Magna Graecia. Per tutti questi motivi, lo storico greco Polibio aveva già individuato nella Campania una terra particolarmente felice e, appunto, fortunata, prima che Plinio il Vecchio, famoso storico scomparso nel 79 d. C., durante l’eruzione del Vesuvio, per sottolinearne la bellezza e la ricchezza coniò la dicitura “Campania illa felix.”
Solo senza cedere alla volontà di un apparato politico distante e fine a se stesso si può tentare di cambiare le sorti di una significativa area d’Europa, sfruttata ed abusata a dismisura da politici di rango e di quartiere, da intermediari burocrati e cerimonieri in carriera, da vanagloriosi servi ed egregie nullità. Per ridare decoro alla Campania e ai suoi abitanti, non c’è altro modo che far politica e ribellarsi con efficacia allo status quo, nel rispetto delle regole e della democrazia. Diversamente, quella che fu l’antica Grecia tirrenica, continuerà ad essere considerata, al di là delle sue bellezze storiche e naturali, una riserva elettorale che torna utile ai furbi di ogni tempo. E il giochino di sempre rischia di diventare eterno: promesse di un miglioramento in cambio di valanghe di voti. Già, a chi farebbe comodo un campano, o un meridionale, in genere, evoluto, con un salario adeguato e una vita normale? Voterebbe liberamente e per chi gli pare, no? Lo sanno bene gli esponenti di spicco della politica che non perdono occasione per dichiararsi innamorati del mitologico e favoloso Sud, esaltandone bellezza e pregi a ogni piè sospinto: essi avranno assaggiato tutte le prelibatezze della cucina autoctona, senza tuttavia gustarne il retrogusto culturale dei sapori; avranno fatto il bagno tra le insenature dove il mare è più omerico, senza tuttavia immaginare di sentire il canto delle sirene; avranno visitato le rovine delle civiltà che hanno influenzato il pensiero occidentale, senza tuttavia avvertire lo spirito di quelle genti universali. Povera patria! Così, per dire.
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