Giustizia

Anche le voci in carcere vengono silenziate

“Ci stanno chiudendo anche la bocca” è il grido che giunge dalle redazioni dei giornali prodotti nei penitenziari italiani

15 Luglio 2025

«In un sistema che si definisce civile, il silenzio imposto alle voci carcerarie non è mai un segno di sicurezza, ma di paura. Paura di ascoltare, paura di cambiare, paura di guardare in faccia le verità scomode che quei giornali osano raccontare. Difendere la libertà di stampa in carcere significa difendere la nostra stessa umanità. Spegnere quelle luci significa condannarci a un’oscurità collettiva, per questo, ogni parola censurata è una sconfitta per tutti noi» (Vito Daniele Cimiotta)

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, nella seduta del 9 luglio 2025, ha approvato il seguente Ordine del giorno:

Il carcere in Italia rischia di allontanarsi dai principi costituzionali e dalla legislazione: un luogo spesso poco trasparente dove talvolta le regole democratiche faticano a trovare attuazione.

Il Coordinamento dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione sulle pene e sul carcere di recente ha denunciato diversi episodi di ostacoli che sono stati frapposti all’attività dei laboratori di scrittura nelle carceri finalizzata alla pubblicazione di periodici realizzati dalle persone private della libertà. Ostacoli non di poco conto, come per esempio, controlli preventivi sugli scritti da pubblicare o il divieto di acquisti di libri, come è accaduto con il testo “Un’altra storia inizia qui” dell’ex Presidente della Corte costituzionale nonché già Ministra della giustizia Marta Cartabia.

Ne riportiamo qui di seguito alcuni relativi a diversi giornali di carcere.

Nella Casa di reclusione di Roma Rebibbia, dove si pubblica il giornale “Non tutti sanno”, frutto del laboratorio condotto da un giornalista professionistain un primo tempo la Direzione ha comunicato che la persona detenuta autore dell’articolo dovesse richiedere autorizzazione per poterlo firmare con nome e cognome, visto che la pubblicazione degli articoli era prevista con le iniziali del nome e cognome, nome di fantasia o di battesimo. Solo recentemente, il diritto alla firma con nome e cognome è stato finalmente riconosciuto.

Nella Casa circondariale di Lodi, la Direzione dell’Istituto “chiede” una lettura preventiva dei testi elaborati dalla redazione di “Altre storie” e pubblicati dal quotidiano della città Il Cittadino e di entrare nel merito della scelta degli argomenti da trattare, vietando temi sensibili come, per esempio, quello dell’immigrazione.

Nella Casa circondariale di Ivrea, il 15 giungo 2025, mesi di sospensione “tecnica” del giornale “La Fenice”, edito dall’Associazione Rosse Torri, sospensione imposta dalla Direzione, la stessa ne ha deciso la chiusura, ha annullato gli incontri, bloccato i computer e sospeso l’autorizzazione all’ingresso in carcere ai volontari che portavano avanti il laboratorio.

Nella Casa circondariale di Lodi, dopo dieci anni di presenza in carcere come volontario, non è stata rinnovata l’autorizzazione all’ingresso al Direttore del periodico “Non solo dentro”. Guarda caso, successivamente alla pubblicazione di articoli che evidenziavano una serie di criticità della realtà penitenziaria.

Si tratta di episodi che, tuttavia, non sono rimasti isolati e il controllo preventivo sugli scritti degli autori detenuti rischia di fare scuola.

Si tratta di fatti lesivi dei diritti delle persone private della libertà personale in contrasto con le regole democratiche che il nostro Paese si è dato. L’articolo 21 della Costituzione sancisce, infatti, che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure”. Nello specifico, inoltre, l’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario al comma 8 prevede che “Ogni detenuto ha diritto a una libera informazione e di esprimere le proprie opinioni, anche usando gli strumenti di comunicazione disponibili e previsti dal regolamento”.

Alla luce di tali fatti, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti esprime preoccupazione e chiede al Ministro della giustizia e al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di adottare gli opportuni interventi per garantire il pieno diritto alla libera informazione delle persone detenute che partecipano alle attività delle redazioni, coscienti anche della finalità rieducativa che le stesse svolgono in una prospettiva costituzionalmente orientata della pena.

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti continuerà a monitorare la situazione in stretto contatto il con Coordinamento dei giornali e delle altre realtà dell’informazione e della comunicazione sulle pene e sul carcere.

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