Caruso. ALLA STAZIONE SUCCESSIVA. La giustizia, ascoltando De Andrè

Giustizia

La giustizia ascoltando De Andrè

C’è una verità del dolore e dell’incontro che rendono possibile una ricerca della giustizia che ha la misura della mitezza generativa e costruttrice di pace

15 Maggio 2025

Raffaele Caruso. ALLA STAZIONE SUCCESSIVA. La giustizia, ascoltando De Andrè, San Paolo

L’autore, avvocato penalista, ripercorre il patrimonio cantautorale di Fabrizio De Andrè, ritrovandovi un pensiero coerente: valorizzando l’umano nei protagonisti delle sue canzoni De Andrè elabora una forte critica al potere e delinea una giustizia che aspira ai tratti della misericordia, risignificando temi come colpa, diritto, giustizia e autorità.

«L’appiattimento della giustizia sulla legalità intende fermare le lancette della storia e rendere impossibile il cambiamento, finendo per considerare come minaccia sociale ogni emersione di umanità che chiede riconoscimento. Un altro punto di vista è possibile, dice Raffaele Caruso a commento di “La città vecchia”, un altro mondo è possibile, se rendiamo pensabile la giustizia da un altro punto di vista, se riusciamo cioè ad intravederla nello scarto tra l’ordinamento giuridico e ciò che è fuori di esso e che preme per essere riconosciuto. La giustizia è sempre “alla stazione successiva”: c’è un perché si può vedere e persino praticare anche se il più delle volte si mostra come assenza…(dalla postfazione di Roberto Cornelli)

 Georges Salines, Azdyne Amimour, A NOI RESTANO LE PAROLE, Giunti

«…perché se restano le parole, resta anche la speranza»

Due padri si incontrano e si raccontano. Sono due mondi separati da un dolore lancinante: l’uno è padre di Lola, morta nell’attentato del 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi, l’altro è il padre di uno degli attentatori ucciso anche lui quella sera.

 «Sono fortemente contrario alla pena di morte e avrei preferito che i terroristi fossero stati arrestati, processati e mandati in prigione per molti anni, ad affrontare il ricordo dei loro crimini. Mi piacerebbe persino poterli incontrare in carcere e parlare con loro, faccia a faccia, come fece Papa Giovanni II con Mehmet Ali Agca, che aveva tentato di assassinarlo. Quanto a ciò che avrei detto, se questo incontro fosse stato davvero possibile, posso riassumerlo in un’unica parola: “perché?”» (G. Salines)

GS: E’ stato molto interessante dialogare con te, Azdyne, scambiare idee e lavorare insieme. E’ questo il nostro messaggio di speranza: è possibile parlare.

AA: Quando ti ho contattato pensavo che avresti rifiutato, ma oggi non mi pento di averci provato. Abbiamo fatto dei progressi insieme e dobbiamo continuare su questa strada, per il bene dei nostri figli. E per la vita».

 Fernando Aramburu, PATRIA, Guanda

La storia è quella di due famiglie raccontata in 125 brevi capitoli dai suoi nove membri: Txato e Bittori, con i figli Xabier e Nerea; e Joxian e Miren con i tre figli Joxe Mari, Arantxa e Gorka. La cronologia dei fatti è articolata con una disposizione narrativa che si caratterizza per un intreccio che costringe il lettore a un’attenzione costante, necessaria per mantenere il filo del racconto. La tensione narrativa è altamente sostenuta dall’inizio alla fine, e chi legge non può non rimanere incollato alle pagine. In un accumulo di pezzi del puzzle che si compone definitivamente solo alla fine del romanzo.

Il dramma che incombe, spezzando vite, amicizie, legami e solidarietà è quello del terrorismo basco dell’ETA che uccide e separa, violenta e distrugge.

Dei personaggi veniamo a conoscere le vicende esistenziali e anche i pensieri e i vissuti. In un’inesausta ricerca di una giustizia e di una libertà che riguarda tutti, vittime e carnefici. Qualche bagliore di giustizia arriverà dagli incontri anche solo fugaci e brevi tra vittime del dolore e assassini e loro complici e fiancheggiatori.

 «Disteso nel letto della sua cella immaginò un destino differente che culminava nel grande sogno della sua vita: essere ingaggiato dalla squadra di pallamano dell’FSE Barcellona. Constatò: chiedere perdono richiede più coraggio che sparare, che azionare una bomba. Quelle sono cose che possono fare tutti, basta essere giovane, ingenuo e avere il sangue caldo. E non era che ci volevano due palle così per riparare sinceramente anche se soltanto a parole alle atrocità commesse. Quello che bloccava Joxè Mari era un’altra cosa. Quale? Che ne so. Dai cacasotto, confessatelo. Beh che la vecchia consegni la lettera ad un giornalista, che si monti il solito circo del terrorista pentito. In paese comincino a parlare male di lui e tolgano la foto dall’Arrano taberna. Alla mà [mamma] sarebbe venuto un coccolone».

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