Giustizia
Rivoluzione nel divorzio : cambiano i parametri dell’assegno divorzile
Nella giornata di ieri, mercoledì 10 maggio 2017, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha pronunciato una sentenza che potrebbe avere una portata rivoluzionaria nell’ambito del diritto di famiglia, più precisamente circa la disciplina del divorzio.
Infatti, con la sentenza 11504 depositata ieri i giudici di Cassazione hanno superato il precedente consolidato orientamento, in auge da quando la legge 898 del 1970 introdusse nel nostro ordinamento la disciplina del divorzio, che collegava la misura dell’assegno di mantenimento al parametro del “tenore di vita matrimoniale“, indicando come nuovo parametro di spettanza dell’assegno “l’indipendenza o autosufficienza economica” dell’ex coniuge che lo richiede.
Un orientamento rivoluzionario che sancisce in modo irrevocabile che non conta più il tenore di vita di cui la parte economicamente più debole della coppia, solitamente la donna, godeva durante il matrimonio.
Alla sentenza in questione la prima sezione civile è arrivata nell’ambito di un caso di divorzio “eccellente”, tra un ex-ministro ed una imprenditrice. I supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale la signora reclamava l’assegno di divorzio già negatole con sentenza della Corte d’Appello di Milano risalente al 2014, la quale aveva riconosciuto che l’ex-ministro dopo il divorzio avesse subito una forte contrazione del reddito, oltre a ritenere la documentazione reddituale della signora come incompleta.
La Cassazione ha così corretto anche la motivazione del verdetto della Corte d’Appello, statuendo che a far perdere all’ex moglie del caso di specie il diritto all’assegno, non è il fatto che si supponga che abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati ed occorre superare la concezione patrimonialistica del matrimonio perchè è ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come “atto di libertà e autoresponsabilità”, nonchè come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, ed in quanto tale dissolubile. Per questo si deve ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto, per l’ex coniuge, a conservare il tenore di vita matrimoniale : infatti se il rapporto matrimoniale si estingue, ciò riguarda non solo il piano personale ma anche quello patrimoniale, sicchè ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente per ripristinarlo, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale.
Per questo, secondo la prima sezione civile di Cassazione, va individuato un parametro diverso nel raggiungimento dell’indipendenza economica di chi richiede l’assegno divorzile. “Se è accertato – si legge in sentenza – che (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto“.
Orbene, per valutare l’indipendenza economica in questione rilevano il possesso di redditi di qualsiasi specie, quello di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente ed autonomo, ed infine la stabile disponibilità di una abitazione.
Spetterà dunque all’ex coniuge l’onere della prova, che comporta il dovere di allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati per raggiungere l’indipendenza economica e di non poterseli procurare a causa di ragioni obiettive, salvo restando il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro ex coniuge al quale l’assegno viene richiesto.
Questa sentenza in qualche modo allinea l’Italia con gli altri Paesi europei, ove l’assegno divorzile dipende essenzialmente da patti prematrimoniali. Sarà riconoscere questo tipo di contratti il prossimo passo anche per il nostro ordinamento?
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