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Governo

Dopo il covid 19 internet è sempre più un diritto

di Daniele Viotti
25 Maggio 2020

L’emergenza Coronavirus che ha investito il mondo intero e dalla quale i Governi, l’Oms e gli esperti di tutto il Mondo stanno cercando di trascinarci fuori, ha sollevato il velo, tra le altre cose, sui gravi ritardi che molti Paesi vivono rispetto alla diffusione della rete, allo sviluppo del digitale e di internet, un ritardo cronico e una incapacità pregressa al cambiamento e
all’adattamento alle nuove tecnologie.
Così – e l’Italia ne è un esempio importante – il passaggio che avrebbe dovuto essere graduale da un’epoca della “carta bollata” a una società capace di modificare i propri usi, i propri consumi, i propri tempi di vita, si è trasformato in una corsa contro il tempo e in una sfida impari, dove molti di noi si sono trovati disarmati.
Ci siamo ritrovati, da un lato, a chiedere il diritto alla disconnessione, a fare gli insegnanti, a lavorare 12 ore al giorno senza potersi rifiutare di fare l’ennesima call, ma anche a capire quanto fosse bello poter avere una connessione stabile per “riabbracciare” virtualmente i nostri cari prima di spegnere la luce la sera; dall’altro, a non riuscire a seguire lezioni online o fare call di lavoro per un’infrastruttura insufficiente, che ci ha fatto sentire frustrati.
Di fatto, quel distanziamento “fisico”, si è presto trasformato in un distanziamento sociale, ha messo in luce le differenze, ha diviso il nostro Paese in due, ha lasciato indietro i più deboli o quelli che vivono nelle zone di digital divide.
In Italia ci siamo ritrovati di fronte all’evidenza – che tanti di noi segnalavano da anni e che è entrata anche nelle agende dei passati Governi talvolta – che abbiamo un’infrastruttura digitale ampiamente insufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio che non è composto solo di grandi città, ma soprattutto di piccoli centri, paesi, borghi, aree interne, e
che abbiamo una storica resistenza/diffidenza – che va dalle pubbliche amministrazioni a buona parte del mondo produttivo – nei confronti di una cultura digitale matura.
Nel giro di due giorni, dalla notte dell’otto marzo, quando furono dichiarate le zone rosse del nord Italia, al 10 marzo quando l’intero Paese fu sottoposto a lockdown, gli italiani hanno dovuto familiarizzare prima ancora che con una tecnologia che non conoscevano, addirittura con un vocabolario che appariva quasi esotico. Smart working, teledidattica, lavoro agile sono diventate espressioni che si sono dovute riempire di contenuti mettendo sotto stress imprese, pubbliche amministrazioni, lavoratrici e lavoratori, scuole e università, genitori, gestori delle reti, studentesse e studenti.
Parole sulle quali fior di esperti hanno iniziato a proporre conferenze online per cercare di “disambiguare” i termini: mai prima d’ora è stato acceso il dibattito sulla differenza tra telelavoro e smartworking e su cosa sia realmente lo smartworking che, no, non è lavorare 12 ore al pc nella propria residenza.
Abbiamo sentito parlare di app, di privacy, di controllo, di Immuni, spesso solo spaventandoci o iniziando a parteggiare per una fazione o per l’altra.
La vita improvvisamente cambiata delle imprese, delle scuole, dei lavoratori e degli studenti lascerà evidentemente delle conseguenze. Intanto, per la prima volta, non sappiamo esattamente come pianificare il futuro delle nostre vite: possiamo organizzare eventi, andare in vacanza, organizzare matrimoni, riusciremo a mandare i figli a scuola a settembre, quando e come ci andranno? Il Covid-19 ha occupato il nostro spazio, il nostro tempo, la
nostra vita, il mondo dell’informazione, le nostre conversazioni quotidiane e ha creato ora un contesto che non riusciamo a controllare, che sfugge alle nostre previsioni.

Di una cosa possiamo ora essere certi, però: è questo il tempo di tornare al passo con un’infrastruttura adeguata e arrivare a un livello idoneo di preparazione/educazione digitale.
L’accesso all’informazione, alla tecnologia e al digitale è una questione di democrazia e di diritti.
In questa fase difficile e delicata, Internet ha dimostrato di poter essere un forte alleato, tra le altre cose sostenendo l’attività economica e produttiva del Paese, o per lo meno impedendo che crollasse drasticamente, e permettendoci di continuare ad avere relazioni, di ricevere il cibo e medicine a casa, mantenere una parvenza di normalità, prevenendo il nascere di tante fragilità con gruppi di ascolto, psicologi a distanza…
E, purtroppo, ha reso più forti le disuguaglianze sociali (territoriali, economiche, anagrafiche e tecnologiche). Come dice bene Lorenzo Giannini, non avere la possibilità o la capacità di poter accedere ai contenuti di Internet oggi vuol dire non poter esercitare appieno la maggior
parte dei diritti collegati alla cittadinanza. La disuguaglianza che si origina e si è originata con l’emergenza Covid-19 sotto il profilo giuridico ha fatto venire meno alcuni diritti fondamentali.
Torna, dunque, oggi più forte che mai il tema del diritto di accesso a internet. Lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo ha citato nelle passate settimane, partendo dall’articolo 3 della Costituzione che prevede che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. “Fosse per me – ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa – inserirei una modifica alla Costituzione”.
Partiamo da lì? Ripartiamo dal luglio del 2015 quando la Commissione per i diritti e i doveri in Internet, istituita presso la Camera dei Deputati, aveva concluso i lavori approvando la “Dichiarazione dei diritti di Internet”?
Due i punti principali: reti infrastrutturale atte a rimuovere ogni ostacolo economico e sociale, e investimento sulla cultura del digitale che vada a colpire ogni settore, ogni fascia d’età, ogni pezzo della società.
Lo dobbiamo a noi, non per essere pronti a una nuova pandemia o al ritorno del picco dei contagi, lo dobbiamo alla nostra crescita e alla crescita del nostro Paese. Perché indietro non possiamo tornare. Tutti parlano di una “nuova” normalità, di un mondo migliorato.
Partiamo dalla lotta alle disuguaglianze e saremo pronti alle nuove normalità che arriveranno. Non rinunceremo a una birra con gli amici, e prima o poi ci assembreremo di nuovo nelle nostre piazze, magari proprio per manifestare per “il diritto di accesso a Internet”.

coronavirus Cultura digitale diritti innovazione internet
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