Governo
I cellulari e il gerontofascismo
Ricordo bene il mio primo incontro con Salvini. Virtuale, naturalmente. Un’amica straniera mi mostrò un suo post su Facebook. Becero, razzista, violento. La guardai con sguardo interrogativo. Perché badarvi? Perché, mi spiegò, quel tizio stava raccogliendo consensi. Rimasi incredulo. Ma non troppo inquieto: per quanto fossi consapevole del degrado del nostro Paese, mi sembrava assai improbabile che un soggetto simile potesse far carriera. Peccavo di ingenuità, come spesso mi succede.
Che sarebbe Salvini senza Facebook? Senza Twitter, che ora si chiama X? Che sarebbe senza i social network? E che sarebbe senza i cellulari, che dei social network sono il veicolo principale? Si tratta di una domanda retorica.
Facciamo un esperimento mentale. Poniamo che, in un eccesso di zelo, il governo Meloni vieti l’uso del cellulare non solo ai docenti e agli studenti, ma a tutti. Nessuno, a partire da domani, potrà più usare il cellulare. Nessuno potrà più avere accesso a Facebook o a X. Perché no, del resto? Se i cellulari sono così deleteri, perché non metterli al bando per tutti e ovunque? Certo, poiché la fonte di distrazione dei cellulari è rappresentata per lo più dai social network, bisognerebbe vietare anche quelli. Vetiamoli, dunque. Che succederebbe?
Difficile rispondere. Forse accadrebbe qualcosa di simile a ciò che sta accadendo in Nepal, dove il divieto di accesso ai social network ha scatenato una rivolta la cui ragione profonda è la grave corruzione e la mancanza di prospettive per i più giovani. Credo però di poter dire con una certa sicurezza che la politica italiana cambierebbe profondamente. E che si tratterebbe, per il governo Meloni, di un suicidio. Perché il populismo di Meloni e di Salvini non esisterebbe senza i social network e dunque i cellulari. Se in passato la destra usava i giornali e poi è passata alle televisioni, oggi il modo più semplice per spingere la gente in basso – verso la rinuncia alla ragione, verso quella che chiamo amigdala sociale – sono i social network. Usati in modo più o meno sporco, con pratiche di manipolazione come quelle ben note della Bestia di Luca Morisi.
Perché allora la destra populista, che deve il proprio successo in modo significativo, e probabilmente determinante, ai cellulari, li vieta? Perché diverso è il target, diciamo così. La vittima della manipolazione populista è di mezza età o anziano, dotato di scarsi strumenti culturali e dunque di scarsissimo spirito critico; una persona ignorante, che come tutti gli ignoranti prova angoscia di fronte a un mondo complesso, che non sa da quale parte prendere, e che abbraccerà con un senso di liberazione qualunque visione del mondo iper-semplificata, soprattutto se le consentirà al contempo di canalizzare le emozioni negative proprie di chi non ha avuto troppa fortuna della vita. Un esercito di persone fragili, frustrate e ignoranti irregimentato attraverso lo schermo di un cellulare.
I giovani sono poco interessanti, da questo punto di vista. Non votano, intanto. E poi – i dati lo dicono – sono più istruiti dei vecchi. Leggono e sono capaci di capire quello che leggono. Sono esposti ad altre manipolazioni, ma il populismo non attacca.
Ecco dunque cosa c’è dietro una folle violazione della libertà di insegnamento quale è il divieto di usare i cellulari a scuola anche per attività didattiche. Un divieto che consente di raggiungere diversi obiettivi in una volta. Confermiamo, intanto, lo stereotipo dell’adolescente che vive attaccato al cellulare – mentre noi adulti no, ci mancherebbe. Ribadiamo che i giovani non ci piacciono. Li dipingiamo come incapaci di concentrazione, superficiali, distratti. Sottraiamo loro uno strumento che, se usato con intelligenza, potrebbe diventare veicolo di conoscenza. Se usato con intelligenza: cosa che sarebbe appunto compito della scuola insegnare. E che non si potrà più fare. E rafforziamo il controllo dall’alto, avvisando i docenti – che stando a contatto con i giovani sono sempre un po’ sospetti – che possono togliersi dalla testa di fare quello che vogliono.
Con una singolare parabola si è passati dall’esaltazione della giovinezza del fascismo all’efebofobia del populismo meloniano e salviniano. È la parabola di un Paese che è il più vecchio del mondo, insieme al Giappone e alla Germania. Non bisogna mai perdere di vista questo. Il populismo di Salvini e Meloni è un fascismo per vecchi. Può essere che sia perfino più pericoloso del fascismo del secolo scorso. Non ha bisogno, il gerontofascismo, di promettere un futuro radioso; gli basta evocare un passato immaginario – costruito interamente dalla nostra capacità di mentire a noi stessi – e da difendere con ferocia da qualsiasi minaccia di cambiamento. Una politica centrata interamente sul risentimento, che non ha bisogno di grandi gesti: si accontenta di piccoli passi indietro, di restrizioni apparentemente minori, di una normalizzazione lenta e inavvertita dell’odio, della paura, del divieto. È un fascismo a bassa intensità, senza divise e parate, più insidioso proprio perché apparentemente innocuo.
Foto di chloe combs su Unsplash
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