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Partiti e politici

La lezione dimenticata di Berlinguer e la mutazione genetica del PD

di Biagio Riccio
12 Giugno 2019

Sono passati 35 anni da quando è morto Enrico Berlinguer: era l’11 giugno del 1984; durante un comizio a Padova per le elezioni europee, quattro giorni prima, il segretario del partito comunista italiano fu colpito da un grave ictus.
Ci furono funerali ove la partecipazione popolare fu imponente e straordinaria: anche Pertini si commosse ed il feretro fu trasportato a Roma sull’aereo presidenziale.

Diede il suo saluto toccante alle Botteghe Oscure pure Giorgio Almirante, perché ne apprezzava la dirittura morale e la specchiata onestà.
In un bellissimo articolo apparso sulle colonne de “Il Giornale” ,si espresse con giudizi lusinghieri Indro Montanelli: il titolo di per se’ significativo era il segno inequivocabile della sua inconcussa stima per il segretario del Pci: “Carissimo nemico”.
“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spontanee, più turbato che allettato dalla prospettiva del potere, e in perfetta buona fede di cui ci resta un programma sociale, politico, economico, etico e morale, uno scritto basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese”( Indro Montanelli).
Berlinguer aveva avuto la brillante intuizione di tranciare una cesura, un taglio della politica del Partito Comunista italiano dall’Unione sovietica. Infatti aveva ritenuto che la spinta propulsiva dell’URSS si fosse esaurita e cercava una “terza via”con l’eurocomunismo che non riconosceva il primato dei russi. Questo perché non era concepibile propugnare l’eguaglianza ed il progresso sociale,tra l’altro insiti nel Manifesto di Marx,con la negazione della libertà e del rispetto dei diritti umani, conculcati in un regime dittatoriale come quello della Russia di Breznev.
Si ricorderà una famosa intervista  concessa a Giampaolo Pansa (Corriere della Sera 15/6/1976), ove Berlinguer riconosceva il ruolo degli Stati Uniti d’America, paese democratico e civile ed in modo particolare “dell’ombrello protettivo della Nato”; esprimeva dure critiche contro i paesi del Patto di Varsavia, illiberali e antidemocratici.
In un viaggio avvenuto nel 1973 in Bulgaria sventò un grave attentato da parte dei servizi segreti di quel paese.
Berlinguer dava fastidio con le sue teorie e disegni politici che portarono il partito comunista italiano ad essere annoverato come il primo partito comunista d’occidente: la sua legittimazione democratica si ebbe con il compromesso storico, intessuto con la democrazia cristiana che produsse i governi di solidarietà nazionale.
Si schierò per il “partito della fermezza”senza concedere alcun spiraglio di trattativa, per lo scambio dei prigionieri,con i brigatisti rossi durante il tempo del sequestro di Aldo Moro.
In una intervista concessa a Scalfari (28/7/1981), aveva posto il tema della questione morale, identificata nell’occupazione dei partiti di tutte le istituzioni, tanto che si parlò di partitocrazia e di lottizzazione.
Allo stesso tempo riteneva che il partito comunista avesse una particolare “diversità”rispetto alle altre forze politiche, in considerazione della probità della sua classe dirigente.
Rileggere Berlinguer oggi e constare quale sia stato il destino del Partito democratico, provoca un’amara tristezza.
Infatti si può ritenere che l’attuale partito democratico, soprattutto dopo la segreteria di Matteo Renzi, abbia subito una mutazione genetica: il “giglio magico” ha portato al progressivo allontanamento del partito da fondamentali tematiche che negli anni precedenti erano state peculiari per il rilevante consenso elettorale del Pci,quali la “questione sociale” e la tutela degli ultimi, gli operai.
Si ricordino le grandi conquiste dello Statuto dei lavoratori e dell’intervento dello Stato nell’economia per il welfare state.
La sua lezione è stata dimenticata.

Biagio Riccio

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