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Media

L’urlo è l’unico gesto umano di questo tempo sospeso

di Fabio Cavallari
10 Aprile 2020

L’abbiamo visto tutti quel video casalingo in cui un bambino grida, tra l’altro molto cortesemente, alla madre: “basta!”. La sua reiterata supplica, per paradosso lessicale, è diventata “virale”. Si badi bene, questa volta non è stata la voce infantile a produrre tenerezza e neppure l’inciampo in una consonante a suggerire empatia, ma proprio il senso del suo dire. Libero, ancora libero dagli obblighi sociali, dai parvenu della salute pubblica, dalla retorica. Quel bambino ci è piaciuto perché ha detto alla madre tutto ciò che vorremmo dire noi, quello che vorremo gridare dalla finestra. “Basta voglio uscire di casa, non ce la faccio più. Non vedo gli altri, non posso andare al parco, non posso andare a scuola, non posso andare in piscina. Basta! Fammi la valigia con tutto quello che serve e me ne vado”. Altroché il “cielo è sempre più blu” dei primi giorni! Solo che noi non possiamo, perché altrimenti corriamo il rischio di essere arrestati per apologia stragista o peggio ancora di cadere sotto i colpi del linciaggio al grido “dagli all’untore”. E così ogni volta che vorremo esprime un minimo sentimento umano, ci corre l’obbligo di attraversare le lunghe peripezie delle premesse virtuose. Il distanziamento, le mascherine, i duecento metri davanti a casa, il lavaggio delle mani, quello dei tavoli, delle maniglie, e financo l’adorato bidet. E così non diciamo neppure più. Lasciamo perdere il rischio del restringimento democratico, la nostra capacità di ridurci a monadi casalinghi nel giro di una notte, ma almeno un pensiero su quell’urlo che continuiamo a stringere in gola, dovremo pur farlo prima di cadere tutti nella “malaombra”. Perché con tutta sincerità, fatte salve le sacre premesse e l’obbedienza totale alle regole, nonché l’elogio delle sorti progressive dello smart working, l’ottimismo patinato dei testimonial che ci invitano a “pasqueggiare” felicemente in solitudine, almeno l’espressione della nostra fatica dovremmo pur essere liberi di dirla, senza che essa venga messa in contrapposizione con il lavoro estenuante e prezioso di medici e infermieri. Qui nessuno uscirà di casa, abbiamo abdicato alla libertà di movimento ma non fateci sentire in colpa se esprimiamo insofferenza, inquietudine e andiamo dal tabaccaio tre volte in più.

Abbiamo adorato lo sfogo onesto di quel bambino, perché lui ha potuto fare un discorso serissimo senza essere accusato di irresponsabilità. Abbiamo bisogno di dire, così come il carcerato ha il diritto umano di pensare alla fuga. Abbiamo bisogno di usare la parola istintiva, epurata dalla “teodicea laica” dei comitati scientifici. E sia chiaro: la pietà per i morti non avrebbe dovuto permettere i balli sui balconi. E noi non abbiamo ballato. Per cui oggi non fateci la morale. L’urlo è l’unico gesto umano di questo tempo sospeso.

p.s. non ho utilizzato il plurale per spirito corporativo ma solo perché conosco almeno due persone che la pensano come me.

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