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Partiti e politici

Meloni e Salvini hanno obiettivi diversi, ma l’appoggio esterno è fantascienza

di redazione
29 Settembre 2022

«Pensare che al secondo giorno di trattative Matteo Salvini abbia minacciato l’appoggio esterno appartiene all’ipotesi del terzo tipo» giura una fonte qualificata del mondo leghista. Nei primi giorni di trattative post-elettorali, più che mai, bisogna stare molto attenti con gli spin che arrivano da destra e da sinistra. Ovviamente, in questo caso, soprattutto da destra. Prendiamo il caso del giorno: l’ipotesi che la Lega di Salvini, sconfitta politicamente ma comunque decisiva numericamente in parlamento, possa aver paventato un proprio appoggio esterno, al governo Meloni, qualora il Capitano leghista non ottenga di tornare al ministero dell’Interno. A diffondere questa indiscrezione, pubblicata da tutti i quotidiani, ci sarebbe in realtà la mano di un pezzo di Fratelli d’Italia. Nel partito della futura premier ci sarebbe qualcuno, più di qualcuno, che avrebbe come obiettivo quello di indebolire il Capitano leghista, e dunque di spalleggiare chi vuole accompagnare alla porta il segretario di via Bellerio. È il desiderata più o meno nascosto di diversi big leghisti. Ma è anche – forse soprattutto, nel breve periodo – un obiettivo di chi non vuole un leader ingombrante e rumoroso nel posto in cui preferisce fare rumore, cioè al Viminale.

Dunque, i desideri sono sicuramente in contrasto fra di loro. L’esigenza di Meloni e dei suoi è contrapposta a quella del Capitano. Ma questo basterebbe a giustificare la minaccia di un’arma così pesante, da parte leghista? Già, perché la sola ipotesi dell’appoggio esterno ha almeno due enormi controindicazioni. La prima: anche un partito costruito a sua immagine e somiglianza farebbe moltissima fatica a seguire Salvini su una strada di così grave rinuncia ai posti di potere e di sottogoverno che invece sono garantiti a chi al governo si siede a pieno titolo. La seconda, più grave per tutti: di fronte alla proposta di un appoggio esterno Mattarella continuerebbe a considerare il centrodestra come la forza principale e la strada maestra per la nascita di un esecutivo, o non inizierebbe a pensare che siano possibili ipotesi alternative radicali, quali ad esempio un nuovo governo istituzionale? Per ora è fantascienza, ma sembra difficile che ci sia qualcuno, nel centrodestra, che abbia voglia di verificarne il realismo?

Meloni inoltre vorrebbe velocizzare il processo ed evitare lungaggini che possono far irritare il Quirinale e i mercati. Prima però bisogna individuare due nomi per la seconda e la terza dello Stato, e bisogna farlo in fretta. Lo schema di gioco prevede, al momento, che la prima casella spetti alla Lega e la presidenza della Camera a Forza Italia. È vero che Meloni in cuor suo metterebbe al Senato Ignazio Larussa, visto che da quelle parti i numeri sono più risicati. Fatta questa premessa, è più probabile che per la casella di Palazzo Madama si individui una figura come Roberto Calderoli o Giulia Bongiorno, mentre per la Camera un azzurro come Antonio Tajani o Giorgio Mulè. Non è escluso che lo schema possa ribaltarsi: la Camera alla Lega e quel caso Giorgetti potrebbe vantare il curriculum migliore, e il Senato per Anna Maria Bernini.  Chiusa la pratica camere, si passer a quella del governo. Meloni vorrebbe fare un governo inattaccabile, con esterni in grado di garantirle copertura in Europa. Per l’Economia si continua a fare il nome di Panetta, ma resta in piedi anche l’idea di tornare al doppio ministero economico, con Tesoro e Finanze. Per il primo si punta a convincere l’uscente Daniele Franco, che terrebbe d’occhio la spesa con il rigore che piace a Mattarella e ai mercati, anche se forse un po’ meno a una paese che si prepara alla recessione. A ben guardare, peraltro, la scelta di tecnici pesanti a Economia ed Esteri potrebbe aiutare Giorgia a convincere Salvini: “Matteo, se rinunciamo noi, che abbiamo preso il 26%, alle poltrone che pesano, come puoi impuntarti tu che hai preso un terzo dei voti?”

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