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Partiti e politici

Ricordo della politica degli anni ’90

di Davide Morelli
12 Maggio 2024

Molto tempo fa c’erano Gelli e Craxi a tenere basso Berlusconi.  Anni fa come oggi la gente era indecisa sul da farsi, se scegliere l’uomo o il partito. Era il partito che faceva l’uomo o viceversa? Così nel bel mezzo di un vuoto istituzionale arrivò l’uomo nuovo, che decise di scendere in campo (e Benigni nei suoi spettacoli ironizzava che quando era bambino in Toscana usavano questa espressione coloro che non avevano il bagno in casa ed espletavano i loro bisogni, appunto, nel campo). Alcuni dissero che aveva cambiato il linguaggio politico, prima oscuro e fatto di convergenze parallele. Alcuni dissero che Segni avrebbe portato alla disfatta i moderati perché non era carismatico e non aveva capacità comunicativa. Alcuni dissero che senza Berlusconi molti imprenditori si sarebbero trasferiti in Svizzera. Da una parte i liberali che volevano difendere il merito, vero o presunto (siamo tutti dei privilegiati a essere nati nel primo mondo e pochi se ne rendono conto o se lo ricordano). La sinistra invece voleva le stesse opportunità per tutti e combatteva il privilegio. Lui, il self made man e dall’altra parte i comunisti. Sembravano non esserci altri modi di essere. Da una parte i suoi avvocati, dall’altra i giudici in un’interminabile lotta. Berlusconi era l’uomo nuovo, l’imprenditore che aveva creato decine di migliaia di posti di lavoro e che prometteva un milione di posti di lavoro. Scalfari lo disse subito che gli interessi di Berlusconi potevano anche non coincidere con quelli degli italiani. Montanelli scrisse che bisognava turarsi il naso e votare il centrosinistra. C’era Prodi, il professore, democristiano di sinistra, che voleva un’Europa unita, perché a suo dire era l’unico modo per contrastare lo strapotere economico di una Germania unita. Si discusse molto di par condicio e di conflitto di interessi. La Lega prendeva il Nord. Bossi e i suoi giannizzeri blateravano, inveivano. Il senatur parlò di 300000 bergamaschi pronti alle armi e tutti i giornalisti a dare credito alle fandonie di qualsiasi mattacchione che alzasse un poco la voce. Ricordo anche quei “prodi” che svettarono sul campanile di San Marco e qualcuno li chiamò patrioti. I vecchi feudi democristiani del Nord erano diventati leghisti.  Ricordo che alcuni carabinieri mettevano nella lista nera i leghisti.  Berlusconi sdoganò anche Fini, che aveva buone maniere, era brillante ( salvo poi anni dopo affossarlo nel fango mediatico). C’erano ancora troppi comunisti che si fingevavano riformisti. C’erano ancora troppi fascisti che fingevano di essere liberali. In realtà pochi riformisti, tra i tanti dell’ultima ora, avevano letto Keynes. In realtà pochi liberali, tra i tanti dell’ultima ora, avevano letto Popper. In realtà il partito socialista e il vero partito liberale erano finiti con Tangentopoli. Ma cosa c’è da prendere dalla cronaca di quei giorni? Qual è la morale della favola? Forse non c’era alcuna morale. Ricordo andai a vedere un comizio di D’Alema a Padova. Mi colpì il fatto che rideva delle sue battute, che a me facevano poco ridere. Ricordo qualche tempo dopo andai a vedere un comizio di un onorevole leghista, che alla fine disse che c’era poca gente a vederlo perché a Pontedera eravamo tutti terroni. A Padova sentivo i comizi degli autonomi. Ho ancora negli orecchi poi le loro voci che parlavano al megafono. Mi rimbombavano allora nella mente. Ma talvolta la rabbia esplodeva, non veniva mitigata da niente. Mi ricordo le lotte, le risse tra quelli del Pedro e quelli del Gramigna. I liberali e la destra improvvisavano,  navigavano a vista; il centrosinistra non se la passava meglio. Da una parte i progressisti potevano contare sulla tradizione, sul territorio, sull’atteggiamento fideistico dei propri elettori. Dall’altro lato c’era l’egemonia mediatica. Ma tra l’egemonia culturale della sinistra e quella mediatica della destra ebbe la meglio la seconda, al punto che per alcuni esegeti l’egemonia mediatica era ormai diventata egemonia culturale. Alla base di tutto regnava l’improvvisazione. Le scuole di partito non esistevano più, nemmeno la gavetta. Astri nascenti e geni si avvicendavano e duravano quanto comete. I liberali avevano scarsa cultura umanistica e poco senso delle istituzioni. I progressisti invece erano tutti umanisti, ma con poche nozioni di economia. Non penso di essere cerchiobottista ad affermare questo, ma sono solo un minimo obiettivo. La televisione come la politica erano sempre più urlate, tutto procedeva a colpi di insulti e di querele.  Gli intellettuali italiani servivano due padroni. A livello culturale e partitico erano legati alla sinistra, ma poi facevano ospitate nelle reti Mediaset e si facevano pubblicare dalla Mondadori.  Tenevano i piedi in due scarpe, fingendo che ciò fosse usuale, normale, insomma una cosa da nulla. Poi su tutto prevaleva, al di là delle battaglie di facciata, il solito compromesso all’italiana, come i litiganti di un talk show, che, spenti i riflettori, andavano tutti insieme a cena fuori. Io allora ero solo un ragazzo, in via di formazione, che raccoglieva gli stimoli culturali, sociali, politici da tutte le parti. Praticamente ero onnivoro.  Cercavo tra molte incertezze un’autonomia di pensiero, non sapendo che in Italia era difficile sia l’autonomia che il pensiero; figuriamoci la coesistenza di entrambe queste cose. Ma se partecipavo al movimento studentesco era solo per stare con la mia generazione o almeno con quella parte che sembrava fare una ricerca autentica di sé stessa, della verità.  Mi dissero di scegliere. Mi dissero che bisognava scegliere da che parte stare. Io trovavo difetti in ognuno e in ogni parte. Mi dissero alcuni sottovoce che in ogni modo mi sarei sporcato, che dovevo scegliere non i più onesti ma i meno corrotti. Mi dissero taluni che avrei fatto carriera in un partito di padani essendo un terrone, ma declinai subito l’invito. E poi a me della politica cosa importava? Non c’era assolutamente bisogno del mio apporto infinitesimale, del mio contributo minimo. Forse avrei fatto dei danni.  Con il senno del poi qualcuno mi potrebbe dire: “dovevi avventurarti.  Dovevi cogliere l’occasione. Opportunità come quelle non si presenteranno piu”. Io scelsi di non scegliere e ogni parte mi incolpò come vigliacco, pusillanime. Mi dissero di pensarci bene. Poi nuovi eventi e nuovi giovani li distolsero da me. Diventai un uomo inutile.  Mi accorsi solo dopo anni che i partiti in mancanza di veri talenti cercavano di pescare qualsiasi giovane per poi indottrinarlo, servirsene, scaricarlo appena diventava inutile.  Poi ci fu il lavoro di commerciante. Ero in altre faccende affaccendato. Fu comunque  anche per i suddetti motivi oltre che per il destino  che mi ritrovai solo.

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