Quirinale

Il Presidente Mattarella e i conventuali: il potere dell’arte contro i nazionalismi beceri

1 Settembre 2025

Ci sono opere d’arte che non appartengono soltanto a un museo o a un ordine religioso, ma diventano parte integrante dell’identità di una comunità, simboli di una memoria condivisa che attraversa i secoli. È questo il caso della Pala della Madonna col Bambino e Santi di Vittore Carpaccio, tornata dopo oltre ottant’anni nella chiesa di San Francesco a Pirano, in Slovenia, il luogo per il quale era stata realizzata nel 1518.

La pala, capolavoro della fase tarda del maestro veneziano, raffigura la Vergine col Bambino circondata dai santi Ambrogio, Pietro, Francesco, Antonio, Chiara, Giorgio e da due angeli musicanti. Un’iconografia che fonde il linguaggio spirituale della devozione francescana con la grande pittura rinascimentale, e che ha accompagnato per secoli la vita liturgica della cittadina istriana.

La sua storia recente, tuttavia, è segnata dalle ferite della guerra e dalle lacerazioni politiche del Novecento. Con l’inizio del conflitto nel 1940, l’opera fu trasferita per ragioni di sicurezza dal suo altare originario: Pirano apparteneva allora alla Provincia religiosa del Santo, e la Direzione Generale di Antichità e Belle Arti italiana decise di mettere al sicuro numerosi capolavori a rischio. Il conte Leonardo Manin offrì la propria villa di Passariano di Codroipo come deposito per i tesori artistici provenienti da Friuli, Venezia Giulia e Istria. Qui la pala rimase per tre anni, fino all’armistizio del 1943.

Dopo l’8 settembre, con l’Italia divisa e occupata, la villa divenne un luogo insicuro. Le opere furono quindi restituite ai legittimi proprietari che ne facessero richiesta. Ma da Pirano non giunse nessuna voce: i frati del convento erano stati arrestati dalle SS e rinchiusi nelle carceri di Trieste. In quel contesto drammatico, fu Padova, attraverso padre Andrea Eccher, ministro provinciale dei Frati Minori Conventuali, a ricevere la custodia del dipinto. Dal 29 ottobre 1943 la pala entrò dunque nei magazzini del convento del Santo, protetta ma invisibile.

Soltanto nel 1995, con la nascita del Museo Antoniano, il pubblico poté tornare ad ammirarla. Era una scelta dettata da due motivazioni: da un lato la volontà di restituire visibilità a un’opera capitale di Carpaccio, dall’altro il desiderio di aprire un dialogo per la sua restituzione. Negli stessi anni il governo sloveno avviava le pratiche per riconsegnare alla Provincia Religiosa Slovena il complesso conventuale di Pirano, nazionalizzato dal regime jugoslavo. I frati padovani colsero quel segnale, iniziando un percorso diplomatico che oggi giunge al suo compimento.

Nel frattempo, l’opera è stata restaurata, studiata, valorizzata. Nel 2000 fu esposta accanto alle altre pale delle cappelle radiali della Basilica del Santo; ha partecipato a mostre di grande prestigio, come quella allestita a Venezia nel 2023; è diventata oggetto di convegni che hanno contribuito alla rivalutazione della fase tarda di Carpaccio. Ma nonostante tutto, la sua vera casa era un’altra: l’altare della chiesa di San Francesco a Pirano.

La restituzione, voluta con forza dalla Provincia Italiana di Sant’Antonio di Padova e dal Museo Antoniano, assume dunque un valore che va oltre la semplice vicenda artistica. È un gesto di giustizia storica e spirituale, che riconsegna a una comunità il suo patrimonio identitario. Ma è anche un atto profondamente politico nel senso più alto del termine: quello che non divide, ma unisce.

La coincidenza con la visita ufficiale del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella in Slovenia, il 10 e 11 settembre, amplifica il significato dell’evento. Il Capo dello Stato ha scelto di accompagnare con la propria presenza un passaggio che sancisce la collaborazione tra due popoli e due tradizioni religiose. Un gesto che non si limita alla diplomazia culturale, ma che cerca di ricucire le lacerazioni della memoria del Novecento.

Non è un mistero che le vicende delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata siano state spesso strumentalizzate per fini politici, ridotte a bandiere identitarie da brandire nelle contrapposizioni nazionalistiche. Mattarella, invece, con questo gesto simbolico, mostra come la memoria possa essere sottratta alle retoriche divisive per diventare occasione di riconciliazione. Restituire la pala di Carpaccio a Pirano significa restituire la storia a chi l’ha vissuta, senza negazioni né appropriazioni, ma con il rispetto dovuto alla verità dei fatti e alle comunità coinvolte.

In questo senso, i Frati Conventuali hanno dato una lezione di grandezza morale. Non hanno rivendicato la custodia di un’opera che, dopo decenni di permanenza a Padova, avrebbe potuto essere facilmente considerata ormai parte integrante del patrimonio italiano. Al contrario, hanno scelto la via più difficile ma più giusta: restituire. Hanno dimostrato che l’arte non è proprietà, ma dono; non bottino di guerra, ma eredità condivisa.

Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, ha interpretato pienamente il ruolo di garante dell’unità nazionale e custode della memoria comune. Ha trasformato un atto di restituzione in un gesto di riconciliazione europea, indicando una via alternativa rispetto alle contrapposizioni del passato. Un gesto che, come le grandi azioni simboliche, lascia tracce destinate a durare nel tempo.

La pala di Carpaccio tornerà a Pirano non solo come capolavoro artistico, ma come testimonianza di un cammino di pace e collaborazione. Sarà lì, davanti agli occhi dei fedeli e dei visitatori, a ricordare che la bellezza può guarire le ferite della storia e che la cultura è un ponte, non un muro.

E forse è questa la lezione più importante: un’opera d’arte restituita al suo luogo originario non è un ritorno al passato, ma un investimento sul futuro. Un futuro in cui italiani e sloveni, padovani e piranesi, possano riconoscersi in una memoria comune che non cancella il dolore, ma lo trasforma in dialogo.

La pala di Carpaccio torna dunque a casa. E con essa, torna la consapevolezza che la vera grandezza di un popolo si misura non nel trattenere ciò che non è suo, ma nel restituire ciò che appartiene alla storia e alla giustizia.

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