Il Presidente ideale per Matteo Salvini è Sandro Pertini
«L’inverno è duro con i poveri. Più si coprono, più mettono a nudo la loro miseria». Così Vasco Pratolini in un passaggio fulminante di Cronache di poveri amanti. Lo stesso si potrebbe dire per la politica. La politica senza fantasia è mera tecnica. Viceversa: una politica che vuol sorprendere ogni volta con i colpi di fantasia, mostra soprattutto la sua inconsistenza.
È incomprensibile che cosa abbia spinto Matteo Salvini ieri a puntare tutto sul discorso presidenziale di Sandro Pertini tenuto il 31 dicembre 1983 trasmesso ieri sera da Radio Padania nel momento in cui Giorgio Napolitano teneva il suo ultimo messaggio di fine anno.
Non una delle ragioni adottate lo giustifica: l’equidistanza sul conflitto Est/Ovest (allora il confronto USA/URSS; oggi quello sui confini “caldi” attraverso i quali prende forma il presunto conflitto di civiltà); non l’investimento sulle politiche giovanili (il richiamo alla questione giovanile è alquanto generico nel discorso di Sandro Pertini e comunque non così diverso dall’appello che più volte nei suoi messaggi di fine anno ha ripetuto in questi anni Giorgio Napolitano); non il ragionamento sul Sud e sulle mafie.
È stato detto che uno dei passaggi significativi di quel discorso del 31 dicembre 1983 era il riferimento a un’Europa unita. Ma a parte il riferimento generico a questo tema, forse Matteo Salvini, quando ha scelto questo testo pensando così di proporre un’ipotesi alternativa, avrebbe fato bene a fare dei riscontri incrociati. Gliene suggerisco due (tratti da Sandro Pertini, La politica delle mani pulite, Chiarelettere).
Il primo è il testo dell’intervento Pertini legge il 27 aprile 1983, dunque otto mesi prima di quel messaggio di fine anno, a Strasburgo al Parlamento Europeo dove afferma la necessità di superare il nazionalismo politico. Non è una convinzione astratta o d’occasione. Infatti, ed è il secondo testo, Pertini, ripete lo stesso concetto in un’intervista a Federico Rampini il 5 maggio 1984,dunque quattro mesi dopo il discorso di fine anni del 31 dicembre 1983, quando a proposito della natura federale che l’Europa dovrebbe assumere dice: «E naturalmente perché vi sia un’Europa veramente unita deve esserci un Parlamento dotato di potere effettivi, legislativi e di controllo, che si impongano a tutti, diventino legge per tutti i paesi. Il Parlamento europeo rischia altrimenti di essere un’accademia oratoria le cui parole se le porta via il vento. Ma perché il Parlamento sia un vero Parlamento, bisogna che abbia di fronte a sé un vero governo. E quando dico un vero governo penso a un governo che prenda le sue decisioni a maggioranza. Quello che abbiamo adesso nella Comunità Europea è uno pseudogoverno perché basta che il rappresentante di un paese alzi il dito e dica «no» e ogni decisione è bloccata». Non mi dispiace che Matteo Salvini sia d’accordo. Ora, per favore, convinca i suoi.
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