Ci sono luoghi che rimangono impressi nella memoria, luoghi che vorresti che mai cambiassero, che vorresti poter ritrovare sempre uguali a se stessi forti della loro carica evocativa, luoghi capaci di ispirare sensazioni ed emozioni costanti nel tempo, luoghi che assomigliano ad altari pagani sui quali compiere sacrifici propiziatori che possano, complici gli dei, fermare lo scorrere naturale del tempo e il progressivo spegnersi della vividezza del ricordo e della quasi fisica sensazione di appagamento ad esso associata.
 
Ma tutto scorre, non solo il tempo! Le persone cambiano, le città cambiano, i paesaggi non riescono a rimanere invariati troppo a lungo; e noi, poveri spettatori di una cosmica e continua palingenesi possiamo usare un solo strumento per attenuare il dolore psichico che provoca il vivere in una continua giostra in movimento, possiamo crearci forme di progressivo adattamento, così da indurci, all’interno dell’autentico vero movimento, la fittizia percezione di un falso movimento.
 
La realtà oggettiva ovviamente non cambia, ma la soggettività percettiva ne trae un certo beneficio, non fosse altro che per la risposta attiva che ci illudiamo di poter dare. Il luogo universale in cui tutti abbiamo abitato e tutti abitiamo è il nostro corpo, che non sfugge a quanto prima dicevo, anzi, più di altri luoghi, ti ricorda ogni mattina che il paesaggio cambia. E’ un processo lento, quasi mitridatico, assolutamente irreversibile. Ogni giorno come quando si ha a che fare con le funzioni continue, ti svegli con un quasi impercettibile segno che il giorno prima non c’era.
 
Rimanendo al linguaggio matematico , ogni tanto poi, come con le funzioni discrete, si hanno degli sbalzi chiaramente percettibili, ed è in quel momento che scatta in noi il tentativo di trovare un adattamento. Perchè il dolore di vederci cambiati, naturalmente in peggio, di vederci magari acciaccati ci risulta assolutamente insostenibile e ci sentiamo traditi, come fosse per partito preso, da quel luogo, il nostro corpo che stiamo abitando.
 
La civiltà attuale, complice il benessere, perlomeno per chi ce l’ha, ha escogitato un formidabile strumento a favore del tentativo di crearsi un falso movimento che possa oscurare il vero movimento: la chirurgia plastica, ed in forma minore, quasi in forma paesana, il culto della cura del corpo fatta in palestra o con l’utilizzo di tutte le creme del mondo. Credo sia quasi superfluo sottolineare che non nutro alcun dubbio che in situazioni nelle quali si evidenziano stati patologici o malformazioni troppo invalidanti, l’uso della chirurgia plastica e di qualsiasi altra tecnica riabilitativa, sia necessario ed utile.
 
Ma quando che so, a sessanta anni decidiamo di farci sollevare il sedere, piuttosto che gonfiare le labbra o il seno, oppure udite udite, mi rivolgo ai maschietti ( si perchè anche loro non sfuggono al falso movimento ), farci risollevare i testicoli, cosa stiamo facendo? La risposta è banale, stiamo immaginando di mantenere intatto quel luogo (corpo), che invece intatto non rimarrà mai, stiamo vivendo nell’illusione, stiamo rimandando l’incontro con la realtà.
 
Ma, giacchè ognuno è libero di fare ciò che vuole, non sarò certo io a stigmatizzare questo modo di vedere le cose, anzi, direi quasi che tutto ciò alla fin fine mi induce tenerezza, convinto come sono che uno dei motori che governa la vita, sia la vanità. Non posso esimermi però, in scienza e coscienza da una considerazione che mi sta a cuore. Care signore e cari signori che potete riconoscervi nelle parole che ho scritto, non pensate che in realtà cercando di rendere il vostro luogo corporeo immutato, lo stiate tradendo, lo stiate insultando, gli stiate negando la possibilità di posarsi dentro i vostri profondi sentimenti, come luogo che vi ha dato felicità, luogo in cui hanno albergato passioni e piaceri? Gli state negando la possibilità di vivere nell’armonia della memoria, come tutte le cose belle che sono passate nella vostra vita e che ora sono lentamente sfumate.