Misteri dei ministeri: perché solo ora il concorso in Rai?

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6 Luglio 2015

Si è svolto nei giorni scorsi un evento, il concorso alla Rai per giornalisti, che non esiterei a  definire storico. Sicuramente sto abusando dell’aggettivo, ma in difetto non saprei come altrimenti dargli la giusta enfasi che merita. Si deve sapere che gli ultimi giornalisti assunti in Rai per concorso (ex art. 97, 3° comma Costituzione) furono, per fare qualche nome, Bruno Vespa e Piero Angela e quelli della generazione immediatamente successiva. Prima cioè del 1975 (anno della famigerata riforma Rai) e a partire dal quale i concorsi pubblici presso l’Ente radiotelevisivo inspiegabilmente sparirono. I giornalisti, ma pare anche i tecnici e altre maestranze, cominciarono ad essere assunti per chiamata diretta: per cordate o per raccomandazione cioè, ma sempre in virtù delle aderenze con i partiti politici. Anche quelli di sinistra, ci si chiederà,  che più di ogni altra componente politica  dovrebbe battersi per le pari opportunità di accesso alle cariche e agli impieghi pubblici, un principio nientemeno che  “rivoluzionario” visto che fu proprio la Rivoluzione Francese a pretendere il concorso pubblico? Sì, ahimè, anche  quelli di sinistra, che a partire proprio da quell’anno assunsero i propri a Rai3 (la redazione di “Paese sera” fece bingo, todos caballeros alla Rai e con stipendi fantastici rispetto a quelli grami di un giornale romano della sera);  i socialisti a Rai2 e i democristiani a Rai1. Democrazia delle opportunità: un po’ ciascuno in braccio alla mamma.

Per questo tipo di andazzo il giornalista liberale Alberto Ronchey coniò il termine di “lottizzazione” attingendo a pratiche di tipo spartitorio-catastale. E agli altri partiti? Ciccia, però  quelli di destra si rifecero ad abundantiam nell’epoca berlusconiana, mentre ai liberali e arcigni liberisti radicali si riconobbe, già in quegli anni, il particolare servizio pubblico di Radio radicale (per le diretta parlamentare che la radio spontaneamente aveva intrapreso negli anni ‘70) che venne retribuito sotto forma di convenzioni prima scadute poi non rinnovate, ope legis varie,  ma non procedendo di fatto all’assegnazione dei fondi (si parla di decine di miliardi vecchie lire) previo bando di gara, visto che avrebbero potuto esserci  altri soggetti in grado di o interessati a svolgere tale servizio avendocene i mezzi.

Ma torniamo alla Rai. Come mai i concorsi pubblici vi vennero sospesi? Perché nella culla del diritto (del diritto che è rimasto in culla) che è il nostro Paese,  dal punto di vista giuridico la Rai è una società per azioni, agisce cioè come una società di diritto privato anche se il capitale è interamente o quasi pubblico, i soldi ce li mette cioè il contribuente costretto  a pagare  (e io pago da sempre) il canone la cui esazione viene richiesta direttamente dall’Ufficio delle Entrate di Torino, come una imposta vera e propria dello Stato legata al possesso del mezzo televisivo. E, come si sa,  le società per azioni, come la Esselunga o la Brembo non sono ovviamente obbligate per il principio della libertà di impresa  a indire selezioni pubbliche. Attualmente anche le Poste, le Ferrovie o l’Anas sono società per azioni, e anche presso questi  soggetti (Enti Pubblici prima della trasformazione in SpA e ancor prima Aziende Autonome ove era però obbligatorio il concorso), improvvisamente, pif!, la prima cosa pubblica a sparire è stata  proprio la selezione pubblica. Con il silenzio dei sindacati, anzi con il loro consenso visto che molti di loro non sono insensibili alle pratiche clientelari o di puro potere (per dire: Corradino Mineo venne assunto per il diretto interessamento dell’ex Segretario Generale della UIL Giorgio Benvenuto, secondo  la ricostruzione di “Repubblica” e attraverso queste conoscenze il fiero Mineo passò dal “Manifesto” via PCI e UIL in Rai, a rosicchiare la sua bella cifra di bilancio pubblico).

Ma la Rai non arrivò brutalmente alla pratica lottizzatoria, anzi diciamo che dopo la prima infornata in cui ci fu un’impressionante assalto alla diligenza (periodo in cui venne assunto anche Clemente Mimun, come lui stesso racconta nel suo libello di memorie) ebbe qualche resipiscenza: indisse alla fine degli anni ’70- inizio anni ’80 dei corsi-concorsi con qualche forma di selezione, per titoli ed esami,  anche se non proprio con il classico banchetto che abbiamo visto a Bastia Umbra nei primi afosi giorni di questo luglio (vedi foto). In questa fase venne assunta anche Bianca Berlinguer, la cui  agevolazione in carriera venne pubblicamente rivendicata ora da Cossiga ora da Alessandro Curzi (“Corriere”, 26/8/2007, pag. 11. Qui Curzi dice però che voleva assumerla in Rai – segno che si poteva fare con una chiamata diretta – ma il padre si oppose).

Tutta questa ricostruzione solo per giungere a una conclusione: le SpA con capitale parzialmente o totalmente pubblico dovrebbero essere indotte dal Governo ad assumere per concorso. Basterebbe una “leggina” di un solo rigo. Dovrebbero chiedere ciò a gran voce tutti coloro che non avendo “santi in paradiso” e pur capaci e meritevoli (art. 34 C.) attualmente sono esclusi dalle assunzioni – specie negli impieghi apicali: il fratello di Angelino Alfano è stato assunto per chiamata diretta  presso una partecipata di Poste SpA – proprio perché non possono partecipare a una libera competizione degli ingegni, a una selezione pubblica.

TAG: Concorso Rai
CAT: Pubblico impiego

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