Moschee all’italiana, ecco cosa succede quando si nega la libertà di culto

24 Novembre 2015

«Una moschea? No, no. La nostra non è una moschea». Yassine Baradai, il direttore del Centro islamico di Piacenza, è pacato, ma fermo. E spiega che il Centro che dirige si potrebbe definire in tanti modi: un luogo di aggregazione; un centro culturale; ma assolutamente non una moschea. Ma perché? Non è lì che buona parte dei mussulmani piacentini si ritrova a pregare? «Certo – risponde Baradai a Gli Stati Generali – ma la preghiera è solo una delle tante attività che organizziamo».

Baradai si ritrova a fare questa precisazione perché lui e il suo Centro sono finiti nel mirino di un esponente di Fratelli d’Italia, che siede nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna. Il consigliere si chiama Tommaso Foti e come Baradai vive a Piacenza. Subito dopo gli attentati di Parigi, Foti ha scritto una lunga e dettagliata interpellanza. Per dire cosa? Per dire che una buona fetta dei tanti centri culturali islamici spuntati come funghi negli ultimi anni non sono altro che «moschee mascherate», quindi fuorilegge.

Le interpellanze vengono usate dai consiglieri per richiamare l’attenzione della loro giunta regionale su problemi urgenti. E secondo il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, il problema, in questo caso, è che alcune comunità mussulmane avrebbero sfruttato una sorta di escamotage. Avrebbero, cioè, creato delle associazioni di promozione sociale – i centri culturali islamici, appunto – che sulla carta si occuperebbero di tante cose, ma che in realtà ne farebbero praticamente solo una: gestire i loro luoghi di culto. Luoghi di culto che poi, appunto, sono delle moschee anche se non hanno la cupola e il minareto.

Un “trucco” che, sempre secondo Foti, sarebbe contro la legge per almeno due buoni motivi. Primo: perché una associazione può avere sede ovunque, mentre una moschea, come tutti i luoghi di culto, può sorgere solo in particolari aree della città (classificate come AR, ossia Aree Religiose). Secondo: una moschea, sempre a differenza di una normale associazione, può essere ospitata solo da edifici con requisiti urbanistici particolari.

In parole più semplici: la legge detta regole molto più stringenti per i luoghi di culto che per le associazioni di promozione sociale. La logica dietro queste norme, dice il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, è semplice: i templi, di qualunque religione siano, attirano molte più persone di una associazione, quindi hanno bisogno, per esempio, di parcheggi e gli edifici devono rispettare certi standard di sicurezza.

Eppure, le moschee mascherate da sedi di associazioni abbonderebbero. Secondo il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, i casi più emblematici in Emilia-Romagna sarebbero quelli del Centro islamico di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena; di Ferrara; di Forlì; di Boretto, Guastalla e Luzzara in provincia di Reggio Emilia; e appunto di Piacenza.

Ma proprio a Piacenza, il direttore del Centro islamico rispedisce l’accusa al mittente: «Noi – spiega ancora Baradai a Gli Stati Generali – organizziamo corsi di arabo per adulti e bambini; ci occupiamo del lavaggio dei defunti; di dare sostegno alle famiglie in difficoltà; organizziamo conferenze e attività culturali; e ospitiamo pure un gruppo di dialogo interreligioso. La preghiera non è la nostra attività prevalente». Insomma: quello di Piacenza è un centro islamico, ripete Baradai.

E un centro islamico è cosa diversa da una moschea. O no?

«Basta vergognarci dei nostri luoghi di culto»

Correndo lungo la via Emilia, in realtà, si incontrano punti di vista e opinioni diverse anche all’interno della stessa comunità mussulmana. Prendiamo il caso di Ferrara. Lì, quando poco più di un anno fa aprì i battenti il entro islamico di via Oroboni, il presidente dei giovani mussulmani Hassan Samid rilasciò un’intervista a un quotidiano online della città (“L’Estense”) per dire esattamente il contrario, ossia che quel nuovo centro andava chiamato con il suo nome: moschea.

Parole che il presidente dei giovani mussulmani di Ferrara non solo non si rimangia ma ribadisce con forza: «Se tu leggi lo statuto di molte delle associazioni che gestiscono i centri islamici – dice Samid – sembra che l’attività di culto sia sempre schiacciata da altre attività. Ma un mussulmano nemmeno sa il nome di queste associazioni. Lui, quando è con altri mussulmani, dice che va in moschea».

E secondo il presidente dei giovani mussulmani di Ferrara, sarebbe ora di uscire allo scoperto e dire le cose come stanno: «In Italia – continua Samid – le moschee sono diventate, per chi non è mussulmano, sinonimo di pericolo e paura. E i mussulmani, che si sono fatti come influenzare da queste intimidazioni, sembrano quasi vergognarsi. Ma non si capisce il perché pregare debba essere un problema. Bisognerebbe cominciare a dire alla luce del sole che questi centri sono i nostri luoghi di culto».

UCOII: «Facciamo come possiamo nel rispetto delle regole». E i Centri islamici sono già 500

Come stanno, dunque, le cose? Quante sono davvero le moschee in Italia? Izzedin Elzir, che è il presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche Italiane (UCOII), la mette in questi termini: «Le moschee in senso architettonico sono in totale cinque: a Milano, a Roma, a Colle Val D’Elsa, a Ravenna e a Catania». E poi? «E poi – aggiunge Elzir – ci sono 500 tra sale di preghiera, centri culturali o comunque le si voglia chiamare».

Ma, se si tratta di luoghi di culto, perché sono state create delle Associazioni di promozioni sociale per gestirle? «La Costituzione in Italia garantisce la libertà religiosa, ma non c’è una legge sulla libertà religiosa. E gli italiani di fede islamica hanno dovuto trovare una strada per rispondere alle esigenze della loro comunità», risponde secco Elzir.

Più precisamente la legge c’è ma è parecchio datata: è la legge sui culti ammessi e risale ai tempi del fascismo e fino ad ora non è mai stata riformata. La Costituzione repubblicana, poi, stabilisce che ogni confessione dovrebbe avere una intesa con lo Stato, ma una intesa tra comunità islamiche e Stato italiano non è mai stata siglata.

Esistono le intese con le Chiese cristiane avventiste del settimo giorno; con le Assemblee di Dio in Italia; con le comunità ebraiche; con l’Unione cristiana evangelica battista in Italia; quella con la Chiesa evangelica luterana; con buddisti e i testimoni di Geova; con la Chiesa apostolica d’Italia; con gli induisti, gli ortodossi e perfino i mormoni. Ma con i mussulmani che in Italia sono circa 1,6 milioni, no.

Anche per questa ragione, quindi, aprire una vera e propria moschea in Italia è molto complicato.

«Si è usato lo strumento delle associazioni di promozione sociale – dice Elzir – perché una moschea è un po’ come una parrocchia: all’interno ci sono tantissime iniziative. È un po’come un oratorio». Va bene. Ma le regole per le associazioni sono diverse da quelle per i luoghi di culto, no? «Le nostre associazioni di promozione sociale fanno quello che devono fare le associazioni di promozione sociale. E per la polizia, la magistratura e i Comuni va bene così. Comunque – aggiunge il presidente dell’UCOII –è un nostro diritto pregare. Potremmo farlo in strada, in palestra, in casa o in un negozio e se a qualcuno non piace è un problema suo».

Fratelli d’Italia: «Chi non è in regola deve chiudere»

Per il consigliere regionale di Fratelli d’Italia che ha presentato l’interpellanza sui centri islamici, il problema, però, non è affatto “suo”, ma “di giustizia”: «Fatemi capire – chiede Foti a Gli Stati Generali – se io costruisco una tettoia in casa mia senza permessi, lo Stato mi persegue finché campo. Se invece qualcuno va a fare una moschea laddove ci dovrebbe essere un circolo culturale va tutto bene? Ma siamo a carnevale?». E quale sarebbe la soluzione, quindi? «I centri islamici che sono in realtà adibiti a luoghi di preghiera vanno chiusi», risponde il consigliere regionale di Fratelli d’Italia.

Una soluzione già bocciata dalla Regione Emilia-Romagna. Che per bocca della sua vicepresidente Elisabetta Gualmini in assemblea regionale ha risposta a Foti che fare i controlli spetta semmai ai Comuni, ma che la Regione non ha nessuna intenzione di «farsi trascinare in atteggiamenti di ritorsione, a seguito dei fatti di Parigi, che mettano in discussione la libertà di culto» nel nostro Paese. Questo, per altro, come ha detto sempre Gualmini  in un’intervista a Repubblica, sarebbe proprio un favore ai terroristi e a chi vuole creare ancora più tensione, perché vorrebbe dire “rispondere all’estremismo con estremismo”.

«Alla politica manca la forza e la volontà di fare uno scatto in avanti»

Quale sarebbe la soluzione, quindi? Chiudere i centri islamici “mascherati”? Mantenere tutto com’è? Gli Stati Generali lo ha chiesto al sociologo Stefano Allievi, che all’Università di Padova insegna Pluralismo sociale e Conflitti culturali, e che al tema dei luoghi di culto mussulmani ha dedicato un libro dal titolo emblematico: La guerra delle moschee. «Chiudere i centri islamici non è una soluzione, è un problema – dice Allievi –. Perché? Perché se costringiamo i mussulmani a chiudere andranno avanti in modo clandestino. Chi lo propone lo sa, ma fa finta di non saperlo perché sa che dire queste cose è popolare».

Che fare quindi? «Bisognerebbe – spiega Allievi – approvare finalmente una legge sulla libertà religiosa in linea con i tempi. Dovrebbe essere come nel Regno Unito, dove se vuoi aprire un luogo di culto ti chiedono quanti fedeli ti aspetti che verranno, ti impongono di fare tot parcheggi e di scegliere un luogo adatto e finita lì». E finché non lo facciamo? «Si andrà avanti così – dice ancora Allievi a Gli Stati Generali – I mussulmani chiederanno di aprire una moschea e il sindaco di turno gli dirà di no. Allora loro apriranno un centro islamico e qualcuno gli rinfaccerà di averlo fatto».

E dire, conclude l’autore de La guerra delle moschee, che «fare questo passo in avanti ci sarebbe di grande aiuto nella lotta contro il terrorismo, perché gli imam e i dirigenti delle comunità islamiche che già collaborano con lo Stato collaborerebbero ancora più volentieri». Ma alla politica sembra mancare la forza di fare questo scatto in avanti? «Sì – risponde Allievi – a sinistra manca la forza di fare questo scatto in avanti, mentre a destra preferiscono fare polemiche».

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Foto di copertina: Il Centro islamico di Piacenza (photo credit: Antonio Cavaciuti)

TAG:
CAT: Questione islamica

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