Per il tuo compleanno Sofia: affermazione, difficoltà e percorsi delle donne

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26 Agosto 2021

Piccola mia, sei nata esattamente un anno fa, a distanza di chilometri e in piena pandemia. Una cosa così terribile non era mai accaduta prima d’ora. Un giorno, quando tutto questo sarà un lontano ricordo, saprai anche tu quello che abbiamo vissuto. Le scene dolorosissime che abbiamo dovuto sopportare…. tutti quei malati intubati negli ospedali, la solitudine della morte e quei camion che portavano via i vecchi di Bergamo morti per covid. E zio Nic, morto anche lui per questo tremendo virus nell’istituto dei missionari saveriani di Parma. Queste scene sono state così laceranti che mi hanno fatto riflettere e costretto a rivedere la mia vita. A ripercorrerla. Passo dopo passo. Voglio quindi che tu conosca le mie sfide, le mie conquiste e anche i miei fallimenti. E’ il mio regalo per te. Voglio che tu sappia che tante donne prima di te e io tra loro, abbiamo lottato tanto per conquistare quegli spazi che ci toccano di diritto ma che si fa ancora fatica ad avere….

Un lavoro importante

Il sobbalzo dell’autobus mi costringe ad alzare gli occhi dal libro che sto leggendo. Guardo fuori e attraverso il vetro appannato, la campagna sembra senza vita. E’ inverno e nessuno si muove tra i campi. Sono stata chiamata a Roma a svolgere un incarico molto importante. Sono molto felice perché desideravo essere valorizzata sul lavoro e improvvisamente da un giorno all’altro mi sono ritrovata ad essere una donna in …carriera.

So che non è facile trovare spazio in un mondo che conserva tradizioni e consuetudini maschili. Un mondo fondato su schemi rigidi e irremovibili in cui gli uomini a loro agio si muovono, creano, progettano e producono. Mentre noi eseguiamo. Ci sono tante eccezioni, mi dicono alcuni. E’ vero. Ma non sono la regola.

Sei troppo autonoma e ti manca il senso dell’appartenenza. Non vedi che il mondo va in tutt’altro modo?”, mi disse un amico tempo fa.

Sono le cose che appartengono. Non le persone, gli risposi io.

Tante piccole donne

Alle elementari ho avuto come insegnante una suora molto autoritaria. Ero nel gruppetto delle brave e per premio dovevamo pulire l’armadietto dove la maestra custodiva a chiave i quaderni di bella copia. Un onore. I pomeriggi, finiti i compiti, giocavo con le amiche del vicolo. Eravamo tante e le nostre voci riempivano la strada di allegria. Il sabato e la domenica ci veniva concesso di muoverci da quel piccolo ambiente e andare oltre.

Nuove e meravigliosi spazi si aprivano davanti ai nostri occhi. Il mondo, dunque, non finiva tra le nostre case di pietra.

Cominciai a cantare nel coro parrocchiale e mi iscrissi all’Azione Cattolica. “Piccolissima, Beniamina, Aspirante e Giovanissima”. Le ho percorse tutte le tappe dell’organizzazione e riuscii a superare anche le faticose prove di memoria dei concorsi “Veritas”, vincendo diplomi e medaglie d’oro.

Vivevo in una realtà piccola e aristocratica, con tanto di castelli e nobili. Le signore del mio paese, dedicavano molto del loro tempo alla cura dei poveri e degli emarginati. Erano le dame di San Vincenzo. Anche io ne facevo parte. Ero una damina. Con loro ebbi modo di vedere come si viveva ai margini della società, visitando ospedali, carceri e tante case svuotate finanche della dignità.

Il teatro

Ma qualcosa alleviava questa cruda realtà. Era la finzione. La scena. Lo spettacolo. In uno stabile palcoscenico delle suore, con tanto di sipario, camerini e quinte, ho interpretato tanti personaggi. Conservo le foto in una scatola bianca. Un piccolo e magico scrigno che rivedo sempre molto volentieri.

Eccomi indossare un vestito di carta con una corona di tulipani in testa. Ero la regina del gruppo. In un altra sono vestita da cappuccetto rosso e sono sovrastata da un immenso bosco di alberi di cartone. Mi tornano in mente i dialoghi. Eccomi interpretare Elvira in “Tradita”. Un dramma in tre atti. Indosso un lungo ed elegante abito verde di raso. I capelli sono raccolti a chignon. Sono sola sul palco e coinvolta in un appassionato e lungo monologo. Sento ancora il silenzio del pubblico, rotto solo alla fine dallo scrosciante applauso.

Carissima Sofia, tua nonna è nata in un paese molto antico, dove tuttora si parla in dialetto. Io adoro molto questo modo spontaneo ed espressivo di parlare, la cui incisività e vigore, nel suo ambito, non hanno eguali. Ma che al di fuori invece isola e condiziona. ”Parla in italiano” è la richiesta perentoria che ci siamo sentiti sempre rivolgere, ignorando il grande sforzo proteso ad un’immediata e silenziosa traduzione. Perché di questo si tratta.

L’autocoscienza

Tremate, tremate le streghe son tornate. Questo lo slogan che ha accompagnato le rivendicazioni delle donne negli anni ’80. Eravamo tante, inconfondibili e tutte uguali, con quelle gonne lunghe e gli zoccoli neri. Uguali e complici. Complici, perché ognuno conosceva i problemi delle altre. Ogni sensazione e ogni emozione venivano discusse insieme. Ci si vedeva spesso per prendere coscienza dei propri stati interiori.

E questa complicità ci faceva sentire sempre molto solidali e disponibili. Sono stati i nostri rapporti di forza.

E di appartenenza

I processi per stupro

Quando mi sono sposata sono andata a vivere in città. La cronaca dell’epoca purtroppo riportava sempre notizie di stupri e violenze alle donne. Ebbi modo di assistere a due importanti e noti processi. Eravamo tante donne in quell’aula per far sentire la nostra solidarietà alle vittime. Il linguaggio usato dagli avvocati era forte e irrispettoso non solo nei confronti delle vittime, ma di tutte noi. Molto spesso venivamo allontanate dall’aula dal presidente per le nostre indignate proteste. Non dimenticherò tanto facilmente la rabbia e gli epiteti volgari delle mogli e delle madri degli imputati rivolti alla vittima.

Il lavoro

Iniziai a lavorare in un ufficio statale. Fino ad allora ero stata un’insegnante precaria e nell’ambiente scolastico non avevo mai rilevato differenze tra i sessi. Il giorno che presi servizio ero in attesa del secondo figlio, tuo padre. Eravamo davanti all’ufficio della segreteria per sapere dove venivamo destinate, quando sentii dire….tutte a me le mandate quelle incinte. Fu uno choc. Prima di assentarmi per maternità, mi fecero passare da un posto all’altro, fino a quando non mi stabilizzai in un ufficio che scoprii poi a mie spese, una volta rientrata, di essere molto ambito da altri. E infatti, anche se illegale, ricominciai con il balletto delle sedie.

L’ufficio era pieno di donne, ma se erano capaci o no, se erano diplomate o laureate, non aveva nessuna importanza. Le donne stavano tutte davanti alla macchina da scrivere. Senza ambizione e senza rivalsa. Le vedevo scappare per la spesa rasentando i corridoi. Se scoperte adducevano scuse patetiche. I maschi invece uscivano, ma solo …per lavoro. Un ambiente grigio. Molto grigio.

La cultura, un punto centrale

La mia salvezza a questo grigiore erano i pomeriggi. Mi iscrissi ad un corso sulla comunicazione e imparai a montare un film. Mi piacque molto. Come prova finale ci venne chiesto di girare un documentario e poi montarlo. A pochi chilometri dalla mia città c’era una centrale nucleare attiva. Conoscendo il pericolo delle emissioni radioattive nell’ambiente e il problema delle scorie, molto spesso partecipavo alle manifestazioni di protesta. Quale causa migliore dunque da filmare?

Con il mio gruppo girammo un documentario in cui mettemmo in evidenza i danni provocati nell’ambiente da questi impianti. Montammo e tagliammo la pellicola fino a quando non ebbe un senso. Vi adattammo anche un commento musicale. Insomma venne fuori davvero un bel lavoro. Proposi di utilizzarlo e non buttarlo in un cassetto. Ma non fui ascoltata.

Contro il nucleare. Un gran senso di appartenenza.

La politica

Quando mi iscrissi all’Università andai all’estero per imparare le lingue straniere e una volta tornata cominciai a frequentare la sezione di un partito. Una persona molto influente voleva cooptarmi nella vita politica. Risposi che non ero interessata e che il mio tempo lo dovevo dedicare allo studio.

Al lavoro mi iscrissi a un sindacato e rivissi gli stessi riti dell’esperienza precedente. Lunghe e noiose riunioni con lo stesso rituale: relazioni di apertura e chiusura e in mezzo gli interventi. Anche se in sala c’erano tante donne, intervenivano solo gli uomini, molto spesso con discorsi monotoni e prolissi. Scoprii ben presto che era un modo per farsi notare e fare carriera. Le donne tacevano. Sempre. Improvvisamente si fece strada un nuovo concetto: le quote. Le quote per le donne. Anch’esse sarebbero dovute rientrare negli organismi dirigenti. Qualcuna venne eletta, ma si arrese subito di fronte agli orari disumani in cui si tenevano le riunioni e i tempi lunghi impiegati. Fu una selezione naturale. Fino a quando non si cominciò a parlare della parola “tempo” . Il tempo delle donne.

Le pari opportunità

Tempo, azioni positive e pari opportunità. La rivoluzione. Eravamo a metà degli anni ’80 e tutte noi donne del sindacato venimmo convocate all’Università Sapienza di Roma. Arrivammo da tutta Italia e riempimmo l’aula magna della facoltà di Lettere. Furono tre giorni bellissimi. Recriminammo spazi e avanzammo proposte e progetti. Si cambiava passo. La democrazia entrava pienamente nei partiti e nei sindacati. L’entusiasmo era alle stelle. Tutte volevamo raccontare il nostro passato fatto di isolamento e discriminazione. Era come se uno squillo di tromba ci avesse svegliato …a noi belle addormentate. Fu faticoso arginare gli interventi. Ora sono molte le donne dirigenti nel sindacato. Anche io ho seguito tanti corsi di formazione…a Roma e a Firenze. Pensavo fosse tempo perso. Invece no. Mi sono dovuta ricredere.

In tante ora prendono la parola e qualcuna addirittura presiede. Io stessa sono stata una dirigente provinciale per le pari opportunità.

Le conquiste mi appartengono e io appartengo alle conquiste

Interviste alle donne

In questi anni come giornalista ho intervistato molte donne: scienziate, imprenditrici, ministre, etc. Mi vanto di averne fatte ben tre alla professoressa Montalcini. L’ultima prima di morire la rilasciò a me. Un giorno anche tu Sofia saprai chi era questa straordinaria scienziata. Alla domanda sulle donne, lei così mi rispose….”Non si tratta di voler essere diverse: siamo diverse. Non abbiamo un passato di tradizione e di successo come gli uomini. Veniamo ex novo sulla scena del mondo. Perché continuare a confrontarsi con gli uomini? A vederli come modelli?……Nella donna ci sono altre attitudini e qualità che possono essere estremamente importanti. Va cercata quindi una via diversa che si muova da un principio etico-sociale. Alla ricerca non dell’affermazione di sé, ma della comprensione del mondo che ci circonda. ”

L’autobus sta rallentando la sua corsa. Siamo al capolinea. I miei compagni di viaggio stanno scendendo. Hanno fretta. Io mi attardo e rimango seduta al mio posto. Sono perplessa. Ho solo pochi secondi per decidere…se scendere e continuare la corsa o tornare indietro.

Non sono tornata indietro, Sofia. Sono andata avanti e pur tra mille difficoltà, ho ricevuto anche tante gratificazioni e premi. Nulla è dunque impossibile. Oggi i portoni che sbarravano la strada della parità, che io all’inizio ho trovato sprangati, sono spalancati. Li abbiamo aperti noi, piano, piano. Fai tesoro dunque di quanto ti ho raccontato e cerca di affermarti “nella comprensione del mondo che ci circonda”. Non dimenticarlo mai.

Tanti auguri tesoro

tua nonna Mimmi ( Mariassunta)

 

Questa lettera è stata pubblicata nel libro…Le parole per dirlo, ediz deComporre, serie curata dall’amica e collega Sandra Cervone

 

 

 

 

 

TAG: compleanno, sofia mogno
CAT: Questioni di genere

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