Le tentazioni materne che non ci fanno diventare grandi

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14 Febbraio 2016

 Ad un certo punto nella vita devi decidere chi vuoi essere. È la vita stessa che ti accompagna o ti trascina davanti alla verità di te stesso. In genere sono situazioni in cui puoi contare solo su di te, situazioni in cui fai l’esperienza di una solitudine radicale, dove ti rendi conto che le tue sicurezze e i tuoi punti di riferimento vengono meno. È il tempo dello spaesamento, dello smarrimento.

Sarà forse perché ci sono dentro, ma questi quaranta giorni di Gesù nel deserto mi interpellano: quarant’anni, il tempo del viaggio di Israele attraverso il deserto, quaranta come gli anni di una vita ormai compiuta. A quarant’anni dovresti ormai aver deciso chi vuoi essere nella vita.

Questa domanda non è molto diversa da quella che guida Gesù nel deserto: quaranta giorni per decidere chi vuole essere, quale tipo di Messia. Sulla figura del Messia c’erano attese molte diverse, e allora Gesù è spinto, trascinato, dallo Spirito affinché decida di sé. In un certo senso, nel Vangelo di Luca, il racconto delle tentazioni sta al posto di un discorso programmatico di Gesù all’inizio del suo mandato.

Decidere di sé è sempre una lotta, in cui si affrontano desideri contrastanti: le speranze personali si scontrano con le attese di chi ci sta intorno, e le illusioni fanno spesso a pugni con i messaggi chiari della realtà.

Come accade nella vita, così anche Gesù si ritrova da solo, nel suo deserto, senza punti di riferimento, abbandonato, senza sicurezze. Per Israele, il deserto è stato il tempo delle paure, il tempo dove le paure si sono persino trasformate in serpenti, è stato il tempo della fame e della sete, il tempo dell’idolatria, ma il deserto è stato anche il luogo dell’intimità con Dio, il tempo della relazione, dell’Alleanza e della Legge. Il deserto è la vita, in cui accade tutto questo.

Rivestiamo spesso la parola tentazione di connotazioni piccanti, ma a guardar bene la tentazione non è altro che il luogo della vita in cui veniamo fuori per quello che siamo. Tra l’altro è anche questo il significato del verbo ‘tentare’, peirazo in greco, usato da Luca.

Come era avvenuto per Adamo all’inizio della Genesi, così anche per Gesù la prima tentazione ha a che fare con il mangiare, cioè con un’attività quotidiana e frequente, quasi banale nella sua normalità. La tentazione infatti non è un evento straordinario, ma ha a che fare con lo scorrere stesso della vita: è la vita stessa che continuamente ci fa venir fuori per quello che siamo, chiedendoci continuamente di decidere di noi.

Il mangiare è un’immagine della nostra relazione con il mondo: mangiando, introduciamo dentro di noi parti di mondo. Mangiare vuol dire entrare in relazione con ciò che è fuori di noi. Ecco perché il modo in cui mangiamo dice in che modo viviamo la relazione con il mondo esterno: alcuni lo divorano pensando solo a se stessi, altri se ne nutrono con misura, altri lo rifiutano! Il modo in cui decidiamo dimangiare il mondo, rivela qualcosa di noi.

Rinunciando a trasformare le pietre in pane, accettando di portare il peso della propria fame, Gesù dice qualcosa di sé: non ci sarebbe nulla di male, nessuno lo vedrebbe, sarebbe persino ragionevole dopo quaranta giorni di digiuno, ma Gesù rifiuta la logica delprivilegio. Quel potere è servizio, va condiviso, non è per lui.

 

Non solo la prima tentazione, ma anche le altre due riguardano ilpotere: la terza tentazione richiama di nuovo la logica del privilegio, la pretesa di provocare di Dio, di metterlo alla prova, esercitando il potere che deriva dal nostro essere suoi figli. È il potere che il bambino cerca di esercitare sui genitori attraverso i suoi capricci. È il privilegio di chi si comporta in maniera infantile nelle relazioni, cercando di esercitare una pressione sull’altro nella forma del ricatto.

Ma la chiave per comprendere il pericolo del potere è nascosta da Luca nella tentazione centrale: il compromesso con il potere, allearsi con il male a fin di bene, passare attraverso la logica del male dicendo che è solo un modo per fare il bene. Gesù rifiuta non solo il privilegio, ma anche la logica del compromesso: «se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Quante volte anche la Chiesa ha dimenticato questo passo del Vangelo di Luca, e si è prostrata davanti al potente, pensando che fosse l’unico modo per poter fare cose buone!

 

La tentazione accompagna tutta la vita e ritorna nei momenti in cui siamo più deboli: è quello il momento opportuno, la passione e la croce. Davanti alla sofferenza ritorna alla mente quel monito inquietante dell’infanzia: pensa a te stesso!, pensa prima a te!.

Ci hanno educato così, ci hanno tirato su facendoci credere che la cosa più importante è salvare prima di tutto noi stessi. Anche per Gesù la tentazione ritorna nel momento finale della passione e della croce come tentazione di autosalvezza: scendi dalla Croce se sei il Figlio di Dio, salva te stesso!

E lì ancora una volta veniamo fuori per quello che siamo, ogni volta che abbiamo dovuto decidere se mettere prima il nostro egoismo, la nostra sete di potere, le nostre rivendicazioni, magari anche comprensibili, oppure un bene più grande.

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In copertina, Pierre-Auguste Renoir, Gabrielle e Jean (1895)

 

Testo

Lc 4, 1-13

 

Leggersi dentro
–  Quali volti assume generalmente la tentazione nella tua vita?

–  Che rapporto hai con il potere (ho con il desiderio di potere) e con il privilegio?

TAG:
CAT: relazioni

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