Cosa succede a Bose

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30 Maggio 2020

«Il mio problema con i teorici della cospirazione è che, se gli dai un dito di porcherie accertate, loro si prendono tutto un braccio di fantasie. O peggio» (Mordechai Richler).
I fatti anzitutto. Siamo nel 1965 quando Enzo Bianchi, 23enne laureato in economia a Torino, si trasferisce in una cascina a Bose, piccola frazione di del comune di Magnano sull’altipiano della Serra tra Biella e Ivrea, per dare vita ad una comunità ispirata alla tradizione del monachesimo occidentale. Gli amici che avrebbero dovuto condividere l’impresa si dileguano. Ma dopo qualche anno di vita eremitica, Enzo Bianchi viene raggiunto da altri giovani. Nasce così la comunità monastica di Bose: uomini e donne, chierici e laici (lo stesso Bianchi non è prete, come del resto non lo erano Benedetto da Norcia, a cui Bose si ispira, e Francesco d’Assisi), cattolici, protestanti e ortodossi che vivono un tentativo di rinnovamento del monachesimo tradizionale. Il vescovo di Biella proibisce le celebrazioni liturgiche pubbliche per la presenza di cristiani non cattolici e sarà il cardinale Pellegrino, vescovo illuminato di Torino, a far rimuovere l’interdetto. Negli anni la comunità si trasforma in crocevia della ricerca spirituale di molti e punto di riferimento dell’ecumenismo, guardando soprattutto all’Oriente ortodosso. Bianchi diventa un personaggio pubblico, archiviate alcune sue polemiche antivaticane della giovinezza, viene consultato da pontefici cattolici e patriarchi ortodossi. Scrive su quotidiani nazionali e diviene molto presente anche in tv. I suoi libri “tirano”.

Anche Bose però viene investita da quella dinamica che spesso si verifica nelle comunità fondate da un leader carismatico, dove prima o poi, il nesso carisma/potere si annoda e chiede di essere sciolto. Una prima visita apostolica è disposta dal Vaticano nel 2014. Al termine, gli “ispettori” – un abate belga e una abbadessa francese – lodano le qualità ecumeniche della comunità, ma raccomandano anche che la guida del monastero sia esercitata in maniera «non autoritaria ma trasparente e sinodale». È l’avvio della transizione che si compie nel 2017, quando Bianchi lascia la direzione al monaco Luciano Manicardi, abbandona il ruolo di «priore» e conserva quello di «fondatore», restando a Bose.

Il resto è cronaca di questi giorni: nel dicembre 2019 arriva un’altra ispezione della Santa sede, sollecitata dagli stessi monaci. Al termine della quale i tre “ispettori” (l’abate Guillermo León Arboleda Tamayo, Amedeo Cencini, consultore della Congregazione vaticana per gli istituti di vita consacrata, e l’abbadessa Anne-Emmanuelle Devêche, già presente nella visita del 2014) consegnano la loro relazione alla Santa Sede. E il 13 maggio, sotto forma di un «decreto singolare» (cioè inappellabile) firmato dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e approvato da papa Francesco, arriva la sentenza: Bianchi, insieme a due monaci e una monaca, deve lasciare la comunità e trasferirsi altrove.

I monaci resistono al provvedimento e la comunità, dopo qualche giorno, emette un comunicato pubblicando anche i nomi di coloro che non vogliono obbedire. La notizia deflagra come una bomba. E alimenta il compiacimento di chi in questi anni ha guardato con sospetto quanto a Bose accadeva, arrivando fino all’accusa smodata di eresia. A metà degli anni ’90 un monaco benedettino di un monastero tradizionale vicino a Milano, mi chiese una volta: che vai a fare a Bose? Non vuoi rimanere cristiano? Naturalmente sono fiorite in questi giorni le ipotesi più avvincenti per i detective del complottismo e delle letture “politiche” di ogni fatto ecclesiale.

“Più facile che su Bose si stia giocando una partita importante, che riguarda gli assetti della Chiesa cattolica: esperienza anomala che va ricondotta ad un più rigido controllo romano?” (Luca Kocci, il Manifesto)

“Nessuno può impedirci di pensare che siamo in presenza di una operazione di normalizzazione in cui purtroppo è coinvolto anche papa Francesco, mentre rimbomba l’assoluto silenzio della Chiesa italiana, forse nel tentativo di ridurre tutto a fatto personale di giornata. Parlare di “normalizzazione di Francesco”, fino a prova contraria, può voler dire che ne è il soggetto, ma può voler dire anche che ne è l’oggetto” (Alberto Simoni, Koinonia forum).

“C’è da dire che la sceneggiata è stata magistrale, degna di un’opera teatrale dal titolo: “Il Priore e il maggiordomo Francesco”. Nei gialli rispettabili, noir, il colpevole deve essere sempre il maggiordomo, mentre il Priore annaspa nel buio delle accuse che non ha nemmeno ricevuto. Si può difendere, ma in silenzio e meglio se in esilio a Chevetogne in Belgio, altro luogo simbolo di antichi delitti. La curia e i suoi cultori esterni che sono una “legione”, come il demonio, non si converte mai, ma manovra, trama, colpisce e uccide, salvo pregare per i morti” (Paolo Farinella, Il Fatto Quotidiano).

“Questa tragedia, che fa stappare champagne agli integristi, va dunque catalogata insieme alle operazioni ecclesiastiche più sofisticate e tragiche del Novecento: perché con un solo spiedo ( agnosco stylum romanae curiae) infilza l’anomalia di Bose, il priore, l’ex priore, il mancato priore, l’ecumenismo, la terza loggia vaticana, i vescovi italiani, un lembo della tonaca del Papa e – per finire con una tocco di crudeltà – propone a Enzo Bianchi di andare in esilio nel monastero di Chevetogne, da cui il fondatore dom Lambert Beauduin, venne esiliato dal 1931 al 1951… Qualunque cosa accada di questa vicenda dolorosa bisogna dire che se qualcuno l’ha pensata, l’ha pensata bene. E se non l’ha pensata vien da chiedersi come diavolo ha fatto a riuscirci” (Alberto Melloni, La Repubblica).
Suggerisco di rileggere il tweet di Enzo Bianchi scritto dopo aver ricevuto la comunicazione del decreto vaticano: “Quando giunge il fallimento, la sconfitta non rinunciare mai alla verità, perché anche nell’umiliazione la verità va glorificata: solo se ferisce la carità la verità può essere celata, e maledetto sia colui per il quale la verità va detta senza pensare alla carità fraterna” (22 maggio).
“Ascolta, dice, l’azione della collera come è perversa, e come travolge con il suo impeto i servi di Dio e come li devia dalla giustizia…” (Pastore di Erma).

TAG: Enzo Bianchi, Monachesimo, Monastero di Bose
CAT: Religione

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