Marino costretto alle dimissioni, ma ha 20 giorni di tempo per ripensarci

8 Ottobre 2015

Alla fine ha ceduto. Da questa sera Ignazio Marino non è più il sindaco di Roma. Isolato dal suo partito e dal governo, che già dallo scorso agosto aveva deciso di affiancargli il prefetto Franco Gabrielli,  il chirurgo genovese, dopo una giornata passata a mostrare i muscoli, ha rassegnato le dimissioni.  Nessuna ammissione di colpa (leggi qui la lettera di dimissioni): «Nessuno pensi o dica che lo faccio come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza e i relativi scontrini successivamente alla mia decisione di pubblicarli sul sito del Comune». Non senza lasciar intendere di voler fare un ultimo tentativo: le dimissioni «possono per legge essere ritirate entro venti giorni, non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche».

La decisione era nell’aria già da ieri ed è arrivata dopo il confronto con l’assessore Alfonso Sabella e l’ex vicesindaco Marco Causi, che hanno presentato al sindaco l’aut aut del Partito democratico, dopo aver incontrato nel pomeriggio il presidente Matteo Orfini, che è anche commissario straordinario del Pd romano: o dimissioni volontarie o la sfiducia in aula presentata dal Pd.

Marino lascia il Campidoglio dopo 30 mesi intensi e drammatici in cui le inchieste della Procura di Roma hanno scardinato gli equilibri politico economici della città, radendo al suolo anche il Pd romano, uscito con le ossa rotte e senza più alcuna credibilità sul territorio, nonostante il tentativo disperato di Matteo Orfinii. Dalle inchieste su Cerroni, il re della mondezzai romana, fino al consociativismo criminale di Mafia Capitale, Marino, al contrario di molti big, è sempre uscito a testa alta, grazie anche alla sua estraneità a quelle dinamiche di potere del pd romano, quel partito “cattivo” e “dannoso”, come lo aveva definito l’ex ministro Barca nella sua relazione sui circoli, che sin dall’inizio del suo mandato ha tentato di affossarlo in ogni modo.

La dove non è arrivato il fuoco amico, è arrivato però il sindaco stesso, costruendo da solo la tela in cui è rimasto intrappolato. Una serie di rendicontazioni poco chiare delle spese effettuate con la carta di credito di rappresentanza  ha portato la Procura ad aprire un’indagine, partita anche dopo la denuncia della Lista Marchini e del Movimento 5 Stelle. Il sindaco, ancora oggi, convinto del suo operato, aveva tentato di resistere per tutta la giornata, prima della resa, arrivata intorno alle 19 e 35. Ora Roma non ha più due sindaci. Quello eletto dal popolo ha tolto il disturbo. Non senza aver messo per iscritto che ora tema che «tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo‐mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio».

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LA LETTERA DI DIMISSIONI DEL SINDACO MARINO

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CAT: Roma

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