
L'arco di Ulisse
Abbiamo consapevolezza della complicità del genocidio di Gaza?
Del governo sionista e della sua guida criminale, Netanyahu, si può dire e scrivere male, ma così male che non è mai abbastanza. Hanno riversato su Gaza un tale concentrato di indecenza e oscenità da rendere insopportabile ogni dichiarazione che non sia un’ammissione dell’indegnità di uno Stato fuorilegge. Tuttavia, la smetterei di puntare l’indice sugli esecutori di un delitto tanto crudele e smisurato, come se ancora ci fosse bisogno di accertare una colpevolezza finalmente appurata, riconosciuta dagli stessi intellettuali israeliani improntati alla rettitudine. Rivolgerei, pertanto, l’attenzione alle complicità che hanno reso possibile l’impensabile: sparare sui bambini, affamarli, ridacchiare della loro morte. Guarderei con maggiore attenzione alla decadenza di una morale comune che ci interessa così da vicino e alla sua scarsa incidenza sulla formazione di un’opinione pubblica sempre più in balia di un anti-giornalismo e una contro-informazione ormai rivoltanti, la cui attività persegue il fine di non far sapere, di omettere, di camuffare e mistificare la verità fino a renderla menzogna autentica da condividere su vasta scala. Per mesi e mesi, abbiamo avuto sui fatti di Gaza una comunicazione pretestuosa e ripetitiva, priva di autorevolezza di giudizio, a cui proprio non riusciva il compito di riportare l’esatta entità della gravità di un genocidio in corso. Eppure, la realtà era sotto gli occhi di tutti e non si capiva perché mai non si arrivasse a ravvisarne l’orrore e si preferisse derubricarla come qualcosa di profondamente diverso da un genocidio, riconosciuto tale dallo storico israeliano, Omer Bartov, uno dei maggiori studiosi dei fenomeni genocidari.
Il paradosso che emerge è che uno Stato nato dalla premessa e promessa che mai più al mondo si dovessero verificare genocidi, è oggi agli occhi del mondo il paese che ne sta realizzando uno. Tutto sembra scaturire da assurdi e illogici meccanismi che si intrecciano nel tempo per determinare il processo infernale della storia, dove il carnefice trasmette alle vittime il germe del male, come avviene nel film di George A. Romero, “La notte dei morti viventi” (1968), dove lo zombie che morde e graffia l’umano lo rende un essere conforme, mostruoso allo stesso modo. Senza cedere alla brama di tentare parallelismi tra i due movimenti politici e spostando l’interesse alle complicità che hanno accompagnato le vicende novecentesche del nazismo, non diverse da quelle di cui beneficia il sionismo, oggi, si potrebbe azzardare che il processo per individuare le responsabilità del genocidio dei palestinesi coinvolge non solo i realizzatori e gli Stati compartecipi e consenzienti, ma anche gran parte della società cosiddetta civile. Un maestro come Dostoevskij, che aveva in uggia gli ipocriti di ogni risma, esplora la complessità della morale umana, mettendo in luce il rapporto tra libertà e responsabilità. Ecco, la domanda è: di fronte alle grandi ingiustizie e agli abusi di potere che generano i sovranismi esagitati, il disprezzo dell’uomo verso i suoi simili e la negazione del valore universale della vita, possiamo prenderci la libertà di adottare un atteggiamento da pavidi senza sguazzare nell’indifferenza più vile e screditante? E allora, a maggior ragione, vuoi che un direttore di giornale, un opinionista, un giornalista curvo, un politico cialtrone, o un ciabattone qualsiasi a cui è stata affibbiata la patente di intellettuale, proferendo a ripetizione le proprie scemenze esemplari, volte a negare la disumanità che si è abbattuta su Gaza, non sia in qualche modo responsabile della più grande catastrofe antropica di questo secolo? L’augurio, manco a dirlo, è che, questa volta, oltre ai processi nei tribunali del Diritto Penale Internazionale, se ne facciano altri di tipo culturale, che contribuiscano a ostacolare, se non ad evitare, le repliche immorali della storia, iniettando nelle coscienze dei popoli la consapevolezza della conoscenza e della memoria.
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