Memoria e Futuro

Antonio e il mare

di Marco Di Salvo 30 Luglio 2025

Povero Antonio! È vero che negli ultimi 30 anni Tajani è stato più tra Bruxelles e Strasburgo che a discutere di candidati alle elezioni locali (comunali o regionali che fossero), però qualcuno dei suoi avrebbe dovuto fargli almeno un dossier su come erano andate le elezioni a livello locale negli ultimi decenni, per impedirgli la figuraccia di qualche giorno fa.

Infatti è dagli anni ’90, mentre i partiti tradizionali annaspavano dopo Tangentopoli, che le liste elettorali intestate a sindaci e presidenti di regione hanno conquistato la scena politica. Un fenomeno nato con l’elezione diretta dei sindaci (1993) e dei governatori regionali (1999), trasformando i leader locali in brand autonomi. Eppure, oggi Antonio Tajani, segretario di Forza Italia, all’alba delle prossime regionali si scaglia contro la “Lista Zaia” in Veneto, bollandola come fonte di “confusione”. Una posizione curiosa, considerando che anche il centrodestra deve proprio a queste liste buona parte dei suoi successi territoriali.

Prendiamo lo stesso Luca Zaia in Veneto: la sua lista “Zaia Presidente” ha dominato la scena, sfiorando il 44,6% dei voti nel 2020 – più di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia messi insieme – e trascinando il governatore verso un terzo mandato con il 76% delle preferenze. Un record che spiega perché Tajani tremi all’idea di ripetere l’esperimento nel 2025.

Ma il Veneto non è un’eccezione. In Lombardia, Attilio Fontana (Lega) nel 2018 lanciò “Fontana Presidente”, conquistando il 49% dei consensi e superando il 20% con la sua lista personale nel 2023. Stessa storia in Calabria, dove Roberto Occhiuto (per inciso, Forza Italia) nel 2021 strappò la regione al centrosinistra proprio grazie a “Occhiuto Presidente”, unico strumento per tenere unita una coalizione divisa.

Ironia della sorte, lo stesso Tajani che oggi critica le liste personali dimentica che Forza Italia nacque nel 1994 come super-lista personalizzata di Berlusconi. E i suoi governatori continuano a sfruttare il modello: in Piemonte, Alberto Cirio (FI) nel 2019 vinse puntando sul proprio nome e nel 2024 è stato rieletto con sette liste alleate; in Molise, Francesco Roberti (FI) nel 2023 trionfò con “Roberti Presidente”. Persino in Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga (Lega) nel 2023 ha replicato il successo del 2018 fondando “Fedriga Presidente”, che gli ha garantito il 60% dei voti.

Dati alla mano, 12 presidenti su 14 del centrodestra nel 2023 hanno usato liste intestate a loro – inclusi gli azzurri.

Il paradosso è grottesco: Tajani tuona contro lo “sbandamento” delle liste civiche, mentre i sondaggi gli ricordano che i presidenti godono di fiducia superiore al 40% (contro il 9% dei partiti). Zaia tocca il 66% di gradimento, e nel 2020 il 31% degli elettori veneti scelse candidati civici, surclassando i partiti. “Senza quelle liste, molti elettori non voterebbero”, ha ribattuto secco il governatore. E ha ragione: in Liguria, dopo le dimissioni di Toti, Marco Bucci ha vinto nel 2024 puntando sul proprio nome.

Mentre il centrodestra rimanda il vertice sul Veneto “alla prossima settimana” (ennesimo rinvio), Tajani sembra intrappolato in una farsa all’italiana: combatte uno strumento che ha reso il centrodestra egemone in 14 regioni su 20. Forse il vero problema non è la “Lista Zaia”, ma il timore che cannibalizzi Forza Italia, già ridotta al 6% nei sondaggi veneti. Intanto Zaia, tecnicamente fuori dai giochi per il limite dei mandati, minaccia di candidarsi in tutte le circoscrizioni, mentre Fratelli d’Italia avanza Elena Donazzan. E il centrosinistra, pur sbandierando scelte “dal basso”, arranca sotto il 30% dei consensi.

Insomma, in un’Italia dove i governatori battono i partiti 3 a 1 in popolarità, l’unica “confusione” è quella di chi, come Tajani, prova a svuotare il mare delle liste civiche “nominaliste” con la paletta di Forza Italia. Davvero poco…

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