Memoria e Futuro
Buoni propositi per il 2025
No, non c’è un errore di battitura nel titolo, ma ve lo spiego dopo. Intanto una buona notizia, qui quello che vi risparmiamo è il bilancio dell’anno, che tanto è almeno un mese che ne siamo bombardati da ogni parte, sia dal punto di vista pubblico che dal punto di vista personale. Ogni volta quando penso a questa situazione di resoconti imposti dall’esterno, inevitabilmente mi ritrovo a pensare a una canzone di Frank Sinatra, che probabilmente molti di voi non conosceranno o, visto l’interprete, non apprezzeranno per principio.
“It Was a Very Good Year” – era un anno molto buono – cantava Ol’ Blue Eyes nel 1965, proprio mentre stava per compiere cinquant’anni. Una canzone forse malinconica ma di certo non nostalgica, scritta quattro anni prima da Ervin Drake per i Kingston Trio, ma che nella voce di Sinatra aveva trovato la sua dimensione definitiva. Un uomo maturo che ripercorre le età della sua vita: i diciassette anni con le ragazze di provincia nelle notti d’estate, i ventuno con quelle di città che vivevano al piano di sopra, i trentacinque con donne sofisticate e indipendenti. Naturalmente parlava di quello che andava di moda per un maschio cinquantenne di 60 anni fa, non quello contemporaneo medio che fa a gara con i rappresentanti delle generazioni più recenti a chi è più giovane. Sinatra cantava questo brano ad un’età inferiore alla mia che scrivo questo pezzo. Ogni età, racconta Sinatra con quella voce che sa accarezzare le parole, è stata “a very good year”.
Ma c’è qualcosa di profondo in questa canzone, qualcosa che va oltre la semplice nostalgia. Sinatra non canta di rimpianti, non si lamenta di ciò che è stato o di ciò che è oggi guardando al passato. Guarda indietro con gratitudine, riconosce che ogni fase della vita ha avuto la sua bellezza, il suo senso. E quando arriva all’autunno della vita – “But now the days are short, I’m in the autumn of the year” – non c’è amarezza, solo consapevolezza.
Ed è qui che arriviamo al titolo di questo pezzo, ed è qui che capirete perché non c’è nessun errore. “Buoni propositi per il 2025”. Come avrete già capito sono i propositi buoni, già vissuti, che riguardano l’anno che sta finendo proprio ora.
Propositi che abbiamo fatto, che abbiamo tentato di seguire, che magari non abbiamo realizzato come volevamo, ma che erano comunque buoni. Buoni perché ci hanno fatto muovere, perché ci hanno dato una direzione, perché erano nostri. E soprattutto, il proposito più importante: guardare a quest’anno che se ne va senza cadere nella trappola della nostalgia posticipata.
Sapete di cosa parlo. Quella cosa che facciamo sempre: non riconoscere il valore del presente e poi, tra vent’anni, dire “Madonna, quanto si stava bene nel 2025!”. Come se il bello fosse sempre altrove, sempre in un altro tempo. Come se dovessimo aspettare due decenni per capire che stavamo vivendo, proprio allora, qualcosa di prezioso.
Il vero senso di questo passaggio d’anno non sta nell’elenco di cose che vorremmo fare nel 2026 – dimagrire, fare sport, leggere di più, passare meno tempo al telefono – ma nell’avere la consapevolezza, adesso, che quest’anno che sta finendo è stato, a modo suo, buono. Non perfetto. Non come nei film. Ma buono.
Buono perché lo abbiamo vissuto, perché abbiamo imparato qualcosa, perché siamo ancora qui a raccontarlo. Come Sinatra che a cinquant’anni non rimpiangeva i diciassette, ma li celebrava per quello che erano stati e contemporaneamente godendosi la sua età. Senza aspettare di averne settanta per dire “quanto era bello quando ne avevo cinquanta”.
E allora ecco il vero proposito, quello che dà senso al titolo di questo pezzo: riconoscere adesso, non tra vent’anni, che il 2025 è stato, a modo suo, “a very good year”. Viverlo con questa consapevolezza mentre ancora ci siamo dentro, nelle sue ultime ore. E poi, quando arriverà davvero il 2026, viverlo allo stesso modo – non come un anno da cui estrarre prestazioni e risultati da snocciolare nei prossimi bilanci, ma come un anno che, semplicemente, merita di essere vissuto e riconosciuto come buono mentre accade.
Non necessariamente l’anno migliore, non l’anno perfetto. Ma un anno buono, a modo suo. Un anno che non avrà bisogno di aspettare il 2046 per essere rivalutato con nostalgia, perché lo stiamo già guardando con quella consapevolezza malinconica ma presente di Sinatra. Quella che sa dire “è buono” mentre lo vive, non solo quando lo ricorda.
“It was a very good year” – non lo è stato, lo è. Perché ogni anno che viviamo, con i suoi alti e bassi, con le sue gioie e le sue fatiche, merita di essere riconosciuto come tale.
E questo, forse, è l’unico proposito che vale davvero la pena di fare.
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