Memoria e Futuro

Coltivando post

di Marco Di Salvo 27 Ottobre 2025

Forse sono fortunato, o forse la qualità di un social network dipende semplicemente dalla cura con cui si selezionano le proprie connessioni. Fatto sta che il mio diario Facebook, contrariamente alla narrazione dominante che descrive la piattaforma come una palude di polemiche sterili e contenuti spazzatura, è diventato negli anni una fonte sorprendente di stimoli intellettuali. I disturbatori seriali, quelli che trasformavano ogni discussione in una rissa ideologica, se ne sono andati per sfinimento o per scelta. Sono rimasti gli interlocutori interessanti, quelli capaci di condividere contenuti che fanno riflettere.

Lo scorso fine settimana, per esempio, mi sono imbattuto in uno straordinario post sul sistema elettorale italiano. Non un meme, non un titolo acchiappa-click, ma un’analisi seria, corredata di dati e grafici comparativi con altri Paesi europei. Il tema era l’anomalia italiana: un elettorato ingessato in un’Europa che cambia vorticosamente.

Il ragionamento partiva da un sondaggio Remtene dell’ottobre 2024: solo il 32% degli italiani si diceva deluso dal partito votato nel 2022, contro oltre il 50% rilevato nei sondaggi del 2015 e 2022. Significa che quasi il 70% degli elettori riconfermerebbe oggi il proprio voto. Un dato di stabilità impressionante, soprattutto se confrontato con quello che accade nel resto d’Europa.

In Francia, il partito di Macron è crollato dal 25% al 15% in tre anni, mentre il Rassemblement National di Marine Le Pen è schizzato dal 20% al 34%. In Germania, un tempo paradigma della stabilità, l’AfD è passata dal 15% al 26% nello stesso periodo, mentre i partiti di governo perdono consensi a vista d’occhio. Nel Regno Unito è un terremoto: Conservatori e Laburisti, che insieme raccoglievano il 75-80% dei voti, oggi sono al 36% sommati, mentre Reform UK di Farage è volata al 29% partendo dal nulla.

E l’Italia? I partiti di governo mantengono sostanzialmente i consensi del 2022. Fratelli d’Italia stabile intorno al 28-30%, il PD al 23-24%, oscillazioni minime ovunque. Un’immobilità che ricorda, buffa e inquietante allo stesso tempo, la Prima Repubblica: quando in tutta Europa i governi cambiavano colore e qui la Democrazia Cristiana governava imperterrita, e variazioni del 2-3% facevano parlare di crolli o trionfi.

Una costante della storia del nostro paese, verrebbe da dire, perché anche negli anni del bipolarismo più radicato (quelli della legge Mattarella) in realtà gli spostamenti elettorali tra le coalizioni erano minimali e legati a fratture interne ai raggruppamenti piuttosto che ad una mobilità dell’elettorato.

Nel corso degli ultimi trent’anni la mobilità elettorale italiana è sempre stata legata all’idea di “novità” (vera o presunta che fosse). Forza Italia nel 1994, il MoVimento 5 Stelle nel 2013, Fratelli d’Italia nel 2022: ogni volta che c’è stato un vero spostamento di consensi, c’era di mezzo un soggetto politico percepito come nuovo, diverso, mai visto prima. La novità come unico vero motore del cambiamento.

Ma oggi, a circa due anni dalle prossime elezioni nazionali del 2027, non c’è nulla di nuovo all’orizzonte. Fratelli d’Italia è al governo da tre anni, ha consumato la propria carica di novità. Il PD di Elly Schlein tenta un rinnovamento ma resta un partito con quasi  vent’anni di storia (e il retrogusto di incompiutezza che allontana molti potenziali elettori). Il M5S è ormai normalizzato e ridotto ai minimi termini (a proposito, quando se ne accorgeranno anche i sondaggisti che gli continuano a dare al doppia cifra a livello nazionale), i partiti centristi sono percepiti come progetti personali e riciclo di vecchie élite. Nessun outsider credibile, nessun movimento emergente, nessuna personalità carismatica che irrompa sulla scena.

Il risultato? Un elettorato che probabilmente voterà per inerzia, o al massimo “contro” qualcuno, ma senza entusiasmo. Un’affluenza destinata a scendere ancora, forse sotto il 58%. Una democrazia tiepida, dove la stabilità non è frutto di soddisfazione ma di rassegnazione.

Ma che paese è, che democrazia è quella che ha un elettorato soddisfatto al 68% in un Paese con crescita sotto l’1%, salari stagnanti, debito al 140%, emigrazione giovanile record? Non è ottimismo sano, è accettazione passiva mascherata da stabilità.

Insomma, mi sono perso nell’analisi del contenuto del post ma quello di cui volevo parlarvi è che questo è il contenuto medio che trovo sul mio Facebook. Non propaganda, non polemiche urlate, ma analisi che stimolano il pensiero critico. Certo, ho fatto selezione negli anni. Ho imparato a togliere l’amicizia o a silenziare chi inquina il dibattito. Ho cercato di costruire una rete di contatti diversificata ma di qualità: persone con cui non sempre sono d’accordo, ma che argomentano, portano dati, rispettano l’interlocutore.

Forse Facebook non è la fogna intellettuale che viene descritta. Forse dipende tutto da cosa decidiamo di farne, da chi scegliamo di ascoltare, da quanto siamo disposti a investire nella cura del nostro spazio digitale. Come un giardino: se lo abbandoni, crescono le erbacce. Se lo coltivi con pazienza, può regalarti fiori inaspettati.

C’è però un aspetto che rovina l’esperienza: la pubblicità ormai soffocante. Facebook (e tutti i social marca Zuckerberg) ti bombarda di contenuti sponsorizzati con una frequenza insopportabile. Ogni tre post, uno è pubblicità. Prodotti improbabili, corsi miracolosi per diventare ricchi in tre giorni, gadget inutili. Spezzano il ritmo della lettura proprio quando ti stai concentrando su qualcosa di interessante. È un inquinamento deliberato che la piattaforma ha scelto, mettendo il profitto davanti all’esperienza degli utenti. Ti senti come se stessi cercando di seguire una conversazione intelligente in un mercato dove ogni due minuti qualcuno ti strattona la manica per venderti qualcosa. Un fastidio crescente che rende sempre più difficile apprezzare i contenuti di qualità che pure esistono. Allora puoi anche coltivare con cura il tuo giardino digitale, ma se il proprietario del terreno continua a spargere parassiti tra le aiuole, prima o poi ti passa la voglia di annaffiare.

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