Cosa vi siete persi

Confessare stanca

di Marco Di Salvo 27 Agosto 2025

Può un gruppo di successo, guidato da un’artista influente (non solo musicalmente) nel suo paese, autodistruggersi per amore della coerenza (e delle sue contraddizioni)? Se vediamo la storia degli Style Council è possibile, anzi, per certi versi, auspicabile. “Confessions of a Pop Group” del 1988 rappresenta uno dei capitoli più controversi e ambiziosi nella discografia del progetto post-Jam di Paul Weller. Questo album, che fu di fatto trascurato al momento della sua uscita e apprezzato solo da pochi (tra cui mi iscrivo, avendolo amato alla follia sin dal primo ascolto), è oggi considerato un lavoro pionieristico che fonde generi musicali e tematiche socio-politiche in modo unico. Le sue caratteristiche peculiari lo distinguono nettamente dai precedenti lavori del gruppo, riflettendo sia l’evoluzione artistica di Weller sia il contesto culturale della fine degli anni ’80.

Dopo il relativo insuccesso critico (ma non di pubblico) di “The Cost of Loving” del 1987 e il fallimento del movimento politico Red Wedge, Weller si trovò in una fase di profonda disillusione. L’album fu registrato con un budget di £500.000 concesso dalla Polydor, ma in un clima di crescenti tensioni creative tra il gruppo e l’etichetta discografica (che porteranno di lì a poco allo scioglimento del gruppo, grazie anche alla cancellazione dell’album successivo, già pronto per le stampe, da parte della casa discografica).

La formazione subì importanti cambiamenti durante questo periodo: Dee C. Lee divenne membro ufficiale della band, mentre il batterista Steve White decise di abbandonare il progetto. Il produttore Jezar utilizzò due registratori digitali a 24 tracce, una tecnologia all’avanguardia che permise sperimentazioni tecniche senza precedenti, come l’editing digitale di assoli di fiati e la fusione di take diverse in un’unica traccia coerente.

L’album presenta una struttura particolarmente audace, diviso in due lati completamente distinti, ognuno con una propria identità musicale ben definita. Il primo lato, denominato “The Piano Paintings”, è profondamente influenzato dal jazz e dalla musica classica, con particolare riferimento ai compositori Erik Satie e Claude Debussy. Questo lato include suite pianistiche elaborate come “The Gardener of Eden”, una composizione articolata in tre parti, e “The Story of Someone’s Shoe”, che combina magistralmente vibrafono e vocalità a cappella dei The Swingle Singers. Le atmosfere sono prevalentemente introspective e malinconiche, con testi che esplorano temi esistenziali profondi e questioni ambientalisti.

Il secondo lato, intitolato “Confessions of a Pop Group”, presenta invece un approccio completamente diverso, dominato da un funk elettrico e ritmi incalzanti. I testi diventano caustici e pungenti nella loro critica alla società thatcheriana dell’epoca. Brani come “Life At A Top Peoples Health Farm”, che inizia provocatoriamente con il suono dello sciacquone di un water, e la title track “Confessions of a Pop Group”, un pezzo di nove minuti costruito su bassi slap e critiche politiche feroci, riflettono il profondo disappunto di Weller verso il conservatorismo imperante e quella che percepiva come un’egemonia culturale statunitense sempre più invadente.

L’uso pionieristico della tecnologia digitale permise al gruppo di manipolare le tracce in modi completamente innovativi per l’epoca. Questa sperimentazione incluse l’editing non distruttivo delle singole note degli strumenti, la fusione creativa di demo e registrazioni successive come in “Mourning The Pass of Time”, e la programmazione sofisticata di drum machine e sequencer per le sezioni più funk dell’album. Tuttavia, il mix finale fu inizialmente contestato dallo stesso Weller, che lo giudicò troppo “conservativo” rispetto alle tendenze pop contemporanee e alle possibilità offerte dalla nuova tecnologia.

I testi dell’album rappresentano un miscuglio particolarmente efficace di amarezza politica e introspezione personale. Dal punto di vista della critica sociale, in “Confessions of a Pop Group” Weller dipinge il Regno Unito come una “terra di stronzate economiche e pacchiane”, attaccando frontalmente la subordinazione culturale agli Stati Uniti e le crescenti disuguaglianze sociali del periodo. Sul versante più introspettivo, brani come “It’s A Very Deep Sea” esplorano temi universali come il rimorso e l’incapacità di dimenticare il passato, mentre “Why I Went Missing” riflette con malinconia su relazioni fallite e opportunità perdute. L’album cattura perfettamente lo spirito disilluso della fine degli anni ’80, un periodo di profonda transizione sia per il Regno Unito che per lo stesso Weller.

Al momento della sua uscita, l’album fu sostanzialmente un fallimento commerciale, raggiungendo soltanto la posizione numero 15 nella classifica britannica, e ricevette recensioni decisamente miste dalla critica specializzata. I recensori lo giudicarono spesso autoindulgente e eccessivamente ambizioso, mentre i fan rimasero spiazzati dall’abbandono del soul accessibile che aveva caratterizzato i precedenti successi del gruppo. Tuttavia, a partire dagli anni 2000, “Confessions of a Pop Group” è stato completamente rivalutato come un lavoro profetico e coraggioso, che ha influenzato significativamente la successiva carriera solista di Weller, in particolare album come “Wild Wood”, e ha anticipato tendenze musicali come la fusione tra pop e sperimentazione artistica.

Confrontando questo lavoro con la discografia precedente degli Style Council emergono differenze sostanziali e illuminanti. Mentre “Café Bleu” del 1984 presentava già una divisione stilistica tra jazz e pop, “Confessions” spinge la sperimentazione molto più in là, abbracciando coraggiosamente influenze classiche e avant-garde. Se “Our Favourite Shop” del 1985 era essenzialmente un manifesto ottimista della sinistra politica, “Confessions” ne rappresenta l’opposto disilluso, caratterizzato da sonorità più oscure e strutture musicali decisamente più complesse. Rispetto a “The Cost of Loving” del 1987, dove il gruppo aveva abbracciato l’R&B americano, questo nuovo album sostituisce quella direzione con un europeismo malinconico e strutture musicali decisamente non convenzionali*.

Oggi “Confessions of a Pop Group” è riconosciuto come un album di culto che ha ispirato numerosi artisti successivi nella fusione di generi diversi e nella politicizzazione consapevole della musica pop. L’opera dimostra chiaramente come Weller abbia sempre privilegiato l’evoluzione e la ricerca artistica rispetto al puro successo commerciale, un principio fondamentale che ha definito l’intera sua carriera musicale.

L’album rimane un testamento duraturo dell’audacia creativa degli Style Council. La sua particolare dualità musicale, che spazia dalla musica classica al funk più incalzante, unita alle liriche taglienti e politicamente impegnate, lo rendono un unicum non solo nella discografia del gruppo, ma nell’intero panorama musicale pop degli anni ’80. Sebbene inizialmente incompreso dal pubblico e dalla critica, il tempo gli ha reso piena giustizia, confermandolo come un’opera genuinamente visionaria che merita di essere riscoperta e apprezzata dalle nuove generazioni di ascoltatori.

*Per chi volesse approfondire la storia di questo gruppo, c’è questo ottimo documentario su YouTube

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