L'architettura e noi
Dal Tempio Malatestiano alla Looshaus, sperimentare il ricordo dell’architettura
Come si ricorda l’architettura? Come si imprime nella memoria?
“Noi, nella realtà, siamo condannati a vivere un’eterna “soggettiva”: la macchina da presa è sempre al nostro occhio, l’angolazione è sempre determinata dal punto dove noi ci troviamo, e il campo visivo è sempre lo spazio che ha al centro il nostro corpo. In un film, invece, il testimone oculare che vede è padrone di tutte le angolazioni possibili”.
Così Pier Paolo Pasolini in una recensione del film Milarepa di Liliana Cavani.
Analogamente, quando siamo di fronte a un’architettura la nostra visione è soggettiva e determinata dall’angolazione in cui siamo. È la limitazione che personalmente ho provato di fronte allo splendido Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti a Rimini.
Avrei voluto avvolgerlo tutto come la corda lapidea che lo circonda.
Ciò che caratterizza il ricordo di un’architettura, una volta vista, è la persistenza dell’immagine: una seconda architettura che non appartiene più al mondo della realtà, ma che vi si allontana quanto più il ricordo vi ritorna. Dalla realtà arretra verso l’idea, tanto che il confronto non è più tra il disegno e l’opera, ma tra l’opera e l’opera. Cioè tra la realtà e la sua immagine.
Faccio un esempio.
Quante volte ho visto riprodotta in fotografia la casa di Adolf Loos a Vienna, e sempre era uguale a se stessa. Ovviamente vedevo la fotografia e non l’architettura, cioè un’altra “soggettiva” che condizionava la mia.
Mentre invece osservavo l’edificio, cominciava a emergere la soggettività dell’autore, l’essenza del suo progetto che pian piano si sovrapponeva alla mia fino a prenderne il sopravvento, senza peraltro cancellarla, così che l’architettura, da imposta diventava una scelta. Una scelta che a sua volta diviene la dominante nel ricordo, quando l’edificio non è più davanti a te.
Allora il ricordo, cioè la memoria, diventa il punto intermedio tra l’autore e lo spettatore.
Ecco allora che essi si fondono in un’unica essenza che disvela e rappresenta il destino ultimo di un’architettura, cioè il suo significato.
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