La parolaccia della settimana

Declino

di Massimo Crispi 27 Ottobre 2025

Tutti, in questi giorni, sia persone importanti che l’uomo della strada, hanno in bocca codesta parolaccia, è particolarmente di moda. Ma soprattutto riferita all’Occidente, o a quello che ne resta, secondo gli influencer catastrofisti.

È scenograficamente efficace l’immagine di un Occidente al tramonto, oltre che poeticamente suggestiva, colle rovine dei grattacieli, con anime perdute, senz’altro valore che la guerra e la lotta per la sopravvivenza, che vagano tra quelle rovine, come nei film distopici in voga, non ultimo Megalopolis, capolavoro incompreso di Coppola, perché forse, in questa corsa verso un politicamente corretto (forse sarebbe più adatto utilizzare l’aggettivo “corrotto”) sfuggito di mano e che si è trasformato in un fuoco artificiale difettoso, che ti esplode in faccia, ci si compiace, sotto sotto, della decadenza.

Peccato che quelli che vaghino tra le rovine, in questo momento, non siano nelle periferie delle metropoli americane ma in Medio Oriente, tra le macerie di Gaza, di Aleppo e Damasco e di altri luoghi distrutti dalle paturnie belliche di qualcuno, anche all’interno dello stesso Islam.

Mah. Certo, è facile vedere delle crisi, ed è anche evidente anche al più cretino di tutti la metamorfosi regressiva degli Stati Uniti nelle mani degli ultimi presidenti da molti anni a questa parte, con un’accelerazione parabolica da parte di questo ciuffo biondastro che fa un danno dopo l’altro nell’arco della stessa giornata. Gli usoniani sono storicamente un popolo di superficiali, in maggioranza, va da sé. Ma la voce sgradevole di Trump, vogliamo parlarne? Manco quella ha curato. E il film canadese Il declino dell’Impero americano di Denys Arcand, di ormai quarant’anni fa è sicuramente indicativo, ma vale soprattutto per un paese manicheo e primitivo come sono gli U.S.A. : segni premonitori, se si vuole, di un sisma annunciato.

Coi governi deboli e sovranisti dell’Europa, supportati da ellettori esasperati e disorientati, è pure assai facile, quasi scontato, intravedere la caduta dell’Impero d’Occidente che, dopo essersi riunito perché l’unione fa la forza, adesso frigna per rismembrarsi, vagheggiando un modello arcaico e obsoleto di staterelli separati, ma non ci si sofferma su un fatto fondamentale: cosa significhi veramente Occidente, oggi.

(Far) West, per gli anglosassoni, era la parte di continente d’oltremare da conquistare, da strappare ai nativi, che meritavano il genocidio, perché c’erano praterie sconfinate dove allevare e coltivare, destinate ai coloni europei per volere divino, ma anche perché c’era l’oro. E poi si scoprì che c’era anche il petrolio. Uccelli di rapina. E ha alimentato un genere rappresentativo, il Western, assai fortunato fin dall’Ottocento, in teatro, in letteratura, al cinema. Io lo detesto, a parte West and Soda di Bozzetto, Caballero e Carmencita di Armando Testa e, naturalmente, Zorro, quello originale, non la copia di plastica con Banderas.

Tralasciamo i concetti di Oriente e Occidente nel Settecento e nell’Ottocento, troppo lungo sebbene, forse, utile per capirci di più. Occidente ha significato, più recentemente, ciò che era contrapposto a Oriente, ossia un mondo bipartito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con due blocchi pur polimorfi all’interno, ma comunque ben distinti. Questo oggi sembra non esistere più o, almeno, non in quella forma.

Ma se andiamo a sollevare la cortina che nasconde la realtà ci accorgiamo che, ormai, Occidente è tutto il mondo, in misura diversa, ma la tendenza è quella, altro che declino. Piuttosto, se di declino si vuol parlare, l’affare riguarda tutti i punti cardinali, diciamo un declino dell’umanità generalizzato, sebbene demograficamente sia in costante crescita. La crescita che ne determinerà la caduta.

Basti vedere solamente come il consumo, che è un prodotto ideologico e concreto tipicamente occidentale, ha modificato la vita di tutti i paesi del pianeta. Se, solo per fare un esempio, un tempo, in Cina o in Giappone uomini e donne indossavano i loro costumi tradizionali oggi sono anche più occidentalizzati degli europei o degli usoniani, e la stessa cosa si riscontra in Africa, in Sudamerica, nella maggior parte dei paesi asiatici e dell’Oceania, anche nei paesi più poveri il modello è quello, accidenti. Solo piccole parti di popolazione usano ancora i loro abiti tradizionali. Perfino nei paesi arabi e mussulmani, africani e asiatici, che sono i più tradizionalisti e ancorati a un passato ormai obsoleto in assoluto, che mostra le sue crepe, se non i crepacci, ogni giorno che passa, dove spesso le religioni hanno lasciato spazio ad altre superstizioni altrettanto nocive, mondi magici, anacronistici pure quelli, si tende a vestirsi all’occidentale (gli uomini). Forse in India, in Indonesia e in alcuni paesi interni dell’Asia e dell’Africa il vestito tradizionale è ancora un elemento identitario. Ma, accanto al sari o al turbante poi c’è sempre una tecnologia di stampo occidentale che occhieggia e che ha trasformato la vita di tutti, dai deserti alle metropoli, e le radio trasmettono musica occidentale in tutto il mondo.

L’opera lirica, massima espressione della civiltà occidentale, risuona dall’Europa al Brasile, dalla Corea (del sud) al Giappone, a Dubai, al Cile, in Messico, in Egitto e in posti dove nessuno avrebbe mai immaginato di poter ascoltare i drammi di Violetta Valéry.

Il teatro giapponese invece resta lì dov’è nato, tranne qualche sparuta tournée di tanto in tanto, che fa emozionare le sciure chic milanesi quando viene presentato al Piccolo (le quali non hanno capito una mazza di ciò che hanno visto ma hanno fatto finta di essere informate), e l’opera cinese idem. Altre musiche etniche restano sempre a diffusione locale, soprattutto quelle del mondo arabo o cinese, a meno di non sentire le nenie cinesi nei ristoranti come musica di sottofondo.

Gli allievi di canto cinesi, ammirevolissimi, così come di altri orientali che vogliono imparare il linguaggio del melodramma europeo e soprattutto italiano, affollano i nostri Conservatori di musica mentre non ci sono occidentali che vanno in Cina per cantare l’opera cinese o il teatro No o Kabuki in Giappone. Qualcosa significherà.

La Russia, che pure ostenta orgogliosa una non appartenenza all’Occidente, perché i russi si sentono russi e basta (chissà mai che cosa vorrà significare, ma quelli sono sempre stati un po’ fuori di zucca), di Occidente sono impregnati, basti pensare alla letteratura, alle arti figurative, al cinema, al teatro e alla musica, è in un declino inarrestabile da più punti di vista: quello dell’ambiente soprattutto, devastato dallo stalinismo prima (l’ex lago d’Aral è il prodotto più evidente di una politica cieca e letale) e dal putinismo oggi, in un crescendo o, meglio, un decrescendo rapidissimo. E Putin cosa fa? Impoverisce le giovani generazioni, che sono il futuro di un paese, mandandole a morire in una guerra anacronistica e invasiva contro un popolo fratello? L’economia, a dispetto di ciò che la prpaganda fa trapelare, è a picco. Non lo chiamereste declino tanto quanto?

Codesto declino occidentale, che viene sbandierato come spauracchio per chiudersi ulteriormente a influenze aliene, che pure hanno fatto la bellezza e la grandezza dell’Occidente, sembra essere, piuttosto, una scusa architettata ad arte per cercare di convincere tutti noi occidentali che stiamo dalla parte sbagliata, perché il nostro passato è insanguinato e per questa ragione dobbiamo sentirci in colpa. Ed abituarci così a una crisi economica parabolica, con mille cause tra cui un’ulteriore esasperazione del capitalismo, per stangarci sempre più e negarci un welfare che ha dei costi perennemente in crescita anche per motivi demografici: un aumento dell’età media, con conseguenti malanni connessi. Che possiamo farci, c’è il declino dell’Occidente, che caspita pretendete, anzi che c’è ancora questo. Sono le catene di Ponzi, prima o poi qualcuno ci rimette.

Ma per favore. La Storia, la Storia di tutti, in tutto il mondo e in tutti i secoli, è costellata di genocidi e di soprusi, non si salva nessuno. Attribuire le colpe solamente all’Occidente è un pretesto per abituarci all’idea che bisogna difendere strenuamente i nostri valori (economici), anche colle armi, contro chi starebbe emergendo al momento, ossia i nuovi paesi del Brics e associati, senza capire che loro hanno come modello da raggiungere il modo di vita all’occidentale (senza però ben capire, in molti di essi, quali siano i diritti umani e civili dell’Occidente, comprendono solo i consumi) e che vanno in quella direzione perché è inevitabile dopo una rivoluzione culturale così globale nella seconda metà del Novecento, dove il consumo portato all’estremo ha appiattito ogni cosa.

E, se volessimo vedere veramente cos’è in declino oggi, dovremmo accendere i riflettori e introdurci nei paesi che sembrano emergere ma che al loro interno hanno conflitti che chi parla di declino dell’Occidente non conosce. Come in Medio Oriente, dove Arabia Saudita e soci sono in lotta coll’Iran, o l’Isis che è in lotta con tutti gli altri islamici, o come i conflitti tra India e Pakistan, coi corollari locali, o la crisi produttiva e immobiliare che esiste in Cina ma di cui si sa veramente poco perché la maschera cinese è impenetrabile, o di tutti i conflitti interni dei paesi africani che, sì, in parte sono causati dall’Occidente, attraverso le politiche delle sue potenze ex-coloniali, ma per altra parte è anche un mondo spesso tribale in lotta perenne e storica col vicino (vedi il caso della Libia, per esempio, e pochi sanno che in Costa d’Avorio, per capirsi, i nativi sono costretti a utilizzare il francese come lingua franca, perché le lingue locali sono diversissime l’una dall’altra). Non si finirebbe più, coi declini sparpagliati in ogni parte del mondo.

Potremmo forse dire che i valori dell’Occidente possono essere in pericolo ma oserei affermare per mano dell’Occidente stesso, in buona parte. I governi populisti di estrema destra che di recente hanno prodotto isolazionismi coi loro derivati, vedi Brexit e adesso MAGA e tutte le altre minchiate che blaterano i vari Farage, Vannacci, Salvini, Meloni, Le Pen e compagnia cantante (Elon Musk è apparentemente eclissato, ma tornerà), sono proprio quelli che mettono in pericolo i suddetti valori, opponendone altri che sono ormai superati dalla Storia, in una sorta di fideismo ideologico incrementato dalla dispersione delle sinistre che non hanno più punti di riferimento né sono state capaci di inventarsene di nuovi, credibili e condivisibili: come per le religioni il buco lasciato viene riempito dalle superstizioni ideologiche più semplici perché irrazionali.

E poi, l’apocalisse affascina sempre ed è strumentale a suscitare paure per evitare che le persone pensino, perché troppo occupate a gestirle, in un’atmosfera d’incertezza che tarpa le ali a qualsiasi pensiero alternativo, demonizzato dal mainstream. Serve ai poteri, com’è sempre stato. Per questo è una parolaccia.

No, l’Occidente non è in declino, almeno non meno del resto del mondo. Perché, se poi ci soffermassimo sulla salute del pianeta ci accorgeremmo che chi causa i disastri ecologici è ben sparpagliato ovunque, sia a ovest sia a est, a sud e a nord e riguarda, questo sì, il declino della Terra intera. I grandi inquinatori non sono più solamente gli Stati Uniti, ma proprio la Cina e l’India, che producono così tanta spazzatura, anche per conto di Europa e Stati Uniti, da sommergere le coste coi propri rifiuti. Le acque di Shanghai sono letali per non parlare di quelle del Gange. L’isola di plastica nel Pacifico è formata da detriti usoniani e centroamericani ma anche, e soprattutto, asiatici. Il Brasile continua a bruciare la foresta equatoriale…  Tutto in nome della produzione e del consumo, come per il lago d’Aral, che era il quarto lago più grande della Terra. Chi è veramente in declino, quindi?

Quest’idea, così diffusa oggi, perché si vede un mondo che fino a poco fa era governato da nazioni con un’ideologia bene o male derivata dalla religione cristiana, nelle sue mille e fantasiose declinazioni (soprattutto oltremare), e che oggi invece, almeno in Europa, è particolarmente indebolita, sconfitta finalmente da una laicità razionale che però non è abbastanza forte per resistere alle superstizioni che stanno prendendo posto nella voragine lasciata dalla religione (nelle Americhe, soprattutto), rappresenta una precisa volontà di mancanza d’impegno per lottare contro l’irrazionale. Irrazionale che arriva anche dall’Islam, dall’ebraismo, e da tutte quelle sette orientali con materializzazioni della vibuthi, la cenere sacra, eccetera, eh, intendiamoci.

Perfino quel cinico pirata di Putin utilizza la superstizione religiosa ortodossa del patriarca per incitare i soldati al fronte, così come i terroristi di Hamas invocano Allah in funzione antiisraeliana, e gli israeliani oltranzisti agitano disgustosamente la Torah come contratto catastale del proprio territorio, quasi fosse loro per diritto divino… Come vogliamo chiamarlo questo? Declino della ragione? E le complicità sono molteplici, perché tutti i paesi del mondo sono coinvolti, colla produzione e il commercio delle armi, in queste stragi in nome di un dio che, se esistesse veramente, avrebbe fulminato tutti, disgustato da come viene usato il suo nome.

Concludendo: no, il declino non è solo dell’Occidente, anzi, al contrario, l’Occidente è forse qualcosa che resterà come modello perché, alla fine, è lì che risiede la maggior parte del patrimonio artistico e monumentale della Storia ed è lì che milioni di persone vengono a visitarlo, da tutto il mondo. Ci parla di continuo del passato, dei suoi errori e delle sue conquiste, coi suoi reperti. Anche nei paesi arabi si è sentita l’esigenza di aprire un Louvre, adesso, ad Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti: perché mai avrebbero dovuto prendere a modello il museo dei musei di un mondo in declino, disegnato, per di più, da Jean Nouvel? E meno male che i musei conservano le nostre reliquie, almeno resta un po’ di memoria.

In paesi come la Cina il passato si distrugge, poi magari, non è detto, si ricostruisce quasi uguale ma è un succedaneo, non c’è il manufatto originale, è perennemente rinnovato e, chissà perché, a Tianducheng, a 180 km da Shanghai, c’è anche il surrogato della Tour Eiffel (alta solo 108 m, meno della metà dell’originale), insieme a una riproduzione dei boulevard parigini e altri monumenti francesi, sembrerebbe una specie di parco di divertimenti disneyano in salsa gallica. Hanno fatto pure una copia di Santorini, nientedimeno, sempre in Cina, Yunnan meridionale. E, nel mondo di Bollywood, in contrasto colle tematiche variopinte e colle vestitissime ballerine della secolare tradizione cinematografica indiana, sono sempre più frequenti i film che hanno scenari europei o “occidentali”, da un ventennio a questa parte… il sottile fascino del declino occidentale.

E poi, alla fine della fiera, figurarsi se gli Stati Uniti vogliono perdere l’egemonia. Si tratta solo di scegliere in che modo mantenerla. Di certo quello di Trump è un modo violento e spregiudicato, che lascia morti e feriti tutt’intorno, anche dentro gli stessi U.S.A., cancellando diritti civili in nome di una famiglia tradizionale che chissà qual è, oltre ad altre libertà acquisite con dure lotte e che al ciuffo biondo sembrano superflue se non dannose. Ma questo non è un declino, questa è la fascistizzazione dell’Occidente, è un’altra cosa.

Per favore, smettetela di dire parolacce.

 

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