Memoria e Futuro

Finale di partita

di Marco Di Salvo 2 Giugno 2025

Chi, come me, qualcuno di questi eventi li ha vissuti, sa di cosa sto per parlare. È quella strana euforia che ti piglia a pochi giorni dal momento topico, che si tratti di una campagna elettorale o di una campagna referendaria o di una partita importante, quando tutto intorno a te sembra andare per il suo giusto, e senti che, nonostante tutto e tutti, ce la stai per fare. Sì, gli avversari sulla carta erano più forti, le condizioni non erano le migliori ma l’onda è cambiata, lo senti: ce la stai per fare. In questi momenti sono due le possibili strategie da mettere in campo. Uno) far finta di nulla e continuare a lavorare al doppio dello sforzo precedente; Due) lasciarsi andare e cominciare festeggiamenti in anticipo facendo un po’ il gradasso, aiutato in questo da chi ti tira la volata e fa propaganda sui giornali e media in generale per te. Qualche esempio, per essere più chiari.

In un’occasione avevano già prenotato il ristorante. Sì, proprio così. Nel 2016, mentre l’Italia si preparava al referendum costituzionale, certi salotti del “Sì” avevano stappato mentalmente lo spumante. Renzi, con quel sorriso da “tanto lo sappiamo tutti come andrà”, si era legato alla riforma come un alpinista a una corda sfilacciata. I sondaggi? Roba da medioevali e poi pure tra i sondaggisti c’era chi pensava che alla fine vincesse il Sì. Lui “sentiva” il popolo. Poi, il popolo – quello vero, non quello degli hashtag – entrò in cabina e disse “No”. Anzi, urlò “NO” al 59%. E la corda si spezzò. Fu come vedere un pallone gonfiato con troppo entusiasmo scoppiare in faccia a chi lo stava pompando.

La stessa aria fritta, stranamente, l’abbiamo respirata sui campi di calcio. Senza voler ricordare esempi più recenti e ancora sanguinanti per alcuni, prendete la Nazionale del 2002. Corea del Sud, ottavi di finale. In Italia ci eravamo già messi in testa che bastasse far sfilare i nomi sulla maglia: Totti, Del Piero, Vieri… “Ma chi sono ‘sti coreani? Tanto li spazzoliamo”. E invece, mentre Trapattoni faceva smorfie da tragedia greca, Hong Myung-bo e compagni ci inchiodarono a un 2-1 ai supplementari. Totti espulso per simulazione, Del Piero invisibile come un fantasma in pieno giorno. Il tutto condito da strilli sull’arbitro, perché quando fai una figuraccia, la colpa è sempre degli altri (anche del fatto che loro abbiano vinto il campionato con un mese di anticipo mentre tu sei arrivato secondo all’ultima giornata, a puro titolo di esempio).

Ma l’apoteosi dell’arroganza la regalò la Juventus nel 2019. Cristiano Ronaldo in campo, 112 milioni spesi, e Massimiliano Allegri che dichiarava serafico: “Lo scudetto l’abbiamo vinto a febbraio, ora ci pensiamo alla Champions”. L’avversario? L’Ajax, una squadretta di ragazzini olandesi che – udite udite – giocava a calcio meglio di loro. Risultato: eliminazione con un 3-2 che fece sembrare la Juve una squadra di provincia. L’anno dopo, per non smentirsi, il bis col Lione (settimi in Francia!). La lezione? Se ti credi un leone ma ruggisci solo nello specchio, finisci mangiato dai gatti.

Perché accade? Semplice: in questo paese, il cocktail micidiale è sempre lo stesso. Un goccio di “noi siamo i più furbi”, una spruzzata di “tanto la gente pensa come me”, e una bella olivetta di “gli avversari sono dei pirla”. Succede agli allenatori che non studiano l’avversario (salvo poi scoprire che i “coreanucci” corrono per 120 minuti), ai politici che scambiano i like per voti, e ai tifosi che – be’ – ogni tre anni ricominciano a urlare “questo è l’anno nostro!” con tragica regolarità.

Morale? Se nei prossimi giorni sentite un leader dire “la vittoria è certa” o un tifoso giurare “il Milan 2025/26 è fortissimo”, versatevi uno spritz. E guardateli mentre la loro sicurezza si trasforma in una sbracata collettiva. Perché in Italia, il più grande spettacolo non è la gloria: è il tonfo di chi credeva di volare, ma non sapeva di avere le ali di cartone.

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