L'arco di Ulisse

Gaza, sterminio di un popolo, esaltazione della disumanità, mortificazione dell’informazione

di Oscar Nicodemo 25 Agosto 2025
Chi più, chi meno, siamo ormai parte di una società dove nulla si adegua alle esigenze autentiche dell’umanità. Persiste una sproporzione mostruosa tra il corpo, l’anima e i riferimenti che regolano la vita sociale: tutto è, o appare, squilibrio. Non esiste una categoria che sfugga a questo scompenso distruttivo, a eccezione, può darsi, di qualche forma di esistenza più primitiva, se mai vi fosse ancora qualcuno che la preferisca e vi si rifugi. Accadono catastrofi dolorose, ingiustizie insopportabili, mostruosità inaudite che rientrano in un interesse globale, senza che vengano raccontate nella loro cruda e amara autenticità. E alla sofferenza causata dagli avvenimenti si aggiunge la nausea provocata dalla comunicazione in merito. Questa è l’epoca dove prima ancora di un bisogno d’amore, di pace e di tutte quelle cose che riconciliano con la fiducia, si avverte fortemente il bisogno di verità, il più sacro di tutti. La lettura e l’ascolto fanno spavento quando si prende coscienza dell’enormità di menzogne divulgate senza vergogna anche dai giornalisti e dagli autori più amati, o semplicemente più popolari. Ecco perché si rende complicato, se non impossibile, soddisfare l’esigenza di verità del popolo palestinese se, a tal fine, non si individuano le persone che amano, in assoluto, la verità. Le immagini dicono che Gaza non è la menzogna della narrazione filosionista del mondo armato e delle nazioni suprematiste dell’Occidente. I fotogrammi strazianti di lenzuola insanguinate che avvolgono corpi martoriati dalle bombe, ammassati mestamente su un carretto trainato da un asino, sono venuti a rappresentare per troppo tempo non la realtà intorno a una ecatombe genocidaria, ma la verità da confutare, alterare e contaminare, fino a spacciarla per falsità. Gli ignobili dell’informazione e del pensiero minimo non si sono accontentati di affermare il contrario di ciò che si sapeva, e si sono spinti, nel loro abominevole esercizio, oltre il grottesco, fino  a contestare e rifiutare ciò che si vedeva, nel disprezzo dei loro colleghi giornalisti e reporter, rimasti uccisi mentre tentavano di fissare la versione realistica della tragedia di Gaza, per offrirla al mondo e garantire il diritto a un’informazione corretta.

Ma il culmine dell’obbrobrio intellettuale lo si raggiunge quando gli stessi che hanno raccontato Gaza in maniera subdola, facendo leva sulla menzogna più vile, ora si adoperano per un resoconto diverso, dove, improvvisamente, si riesce a confermare che i gazawi sono stati sterminati con un bombardamento ossessivo e affamandoli e privandoli dell’acqua. La verità su Gaza la si conosce fin troppo bene, e in tutto il mondo, perché il dolore e lo strazio del suo popolo sono stati in qualche modo affidati al vento e non solo alle parole, che possono essere controbattute, negate, respinte. Mentre, l’aria acre che si respira nel vento del tormento è verità incondizionata. Ciò che non si conosce abbastanza, invece, sono i conflitti, le contraddizioni e le censure che riguardano l’agibilità di tanti politici, giornalisti, intellettuali e attivisti culturali in genere, sottoposti a un sistema di comando. Eppure, un presidente americano, Thomas Jefferson, ebbe a dire che: “Tra un governo senza giornali e giornali senza un governo, non esiterei a preferire quest’ultima ipotesi”. Al di là della personalità del suo autore, il precetto la dice lunga sull’importanza che, da sempre, la cultura anglosassone ha attribuito all’informazione. Tanta considerazione per il mezzo d’informazione più antico ha, certamente, come fondamentale riferimento, il rispetto di un codice etico ed estetico irreprensibile, da cui i critici dei paesi anglofoni, nella maggior parte, non prescindono con tanta abnegazione e obbedienza, come avviene nella nostra nazione. Da noi, oltre a non poter dare per scontato che gli articolisti dei quotidiani siano titolari di una capacità di scrittura sobria e di facile assorbimento, resta da appurare se essa assecondi un qualsivoglia principio morale. Un giornale, o un tg, dunque, che dia, oltremodo, la sensazione di perseguire un interesse di parte, dichiarando, invece di divulgare, un’opinione libera, diventa irrimediabilmente insopportabile, illeggibile, inascoltabile.

Basterebbe, tuttavia, raccogliere un po’ di opinioni per notare quanto la gente sia profondamente delusa da un’informazione che si consuma per inerzia, passivamente, per incontrollata abitudine. La scarsa pertinenza dei contenuti, prima ancora che uno stile aggressivo e prevaricante, allontana sempre più le nuove generazioni dalla lettura dei giornali, dall’ascolto dei tg, dalla visione dei talk, che necessiterebbero di un linguaggio chiaro, inequivocabile, diretto. Mentre il giornalismo imperante, quello che osserva “ufficialmente” la vita pubblica del paese e del mondo, appare, fatta qualche eccezione, irrimediabilmente conciliante, più che mai tristemente fedele alle linee editoriali interposte, a verità trattate, ad accordi negoziati, sì che il prodotto finale non può essere che alterato, presentando in molti casi la natura artefatta della sua composizione. L’attitudine ai personalismi nevrotici di tante “grandi firme”, che in seguito alle buone intenzioni di premesse auto-referenziali danno forma ad una banale cronaca “ideologizzata” e non reale, aggiunge, infine, come ciliegina sulla torta, il patetico a ciò che è abbondantemente farsesco. E questa panna montata, magagnata e ormai scaduta, non garantisce a nessun quotidiano, a nessun tg e a nessun talk di bloccare il progressivo calo di vendite e di ascolto. Leggere un giornale, ascoltare un tg e seguire un talk è, oggi, un esercizio faticoso e fastidioso. Forse, per avere una comunicazione moderna, efficace, finalmente fruibile, vi sarebbe solo bisogno di un giornalismo meno mediato e più immediato. Ma anche questo è uno slogan.

 

 

 

 

 

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