Memoria e Futuro

I poli della questione

di Marco Di Salvo 4 Settembre 2025

Ecco ci mancava l’ennesima sfilata militare (con contorno di presunti leader mondiali) per fare tornare giornali e TV occidentali di multipolarismo “made in China”. Da qualche giorno è tutto un “la sfida multipolare dei leader invitati a Pechino” ai festeggiamenti per gli 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Interessante analisi. Ma vediamo chi c’era sul palco. Oltre al padrone di casa, Russia, Corea del Nord, e qualche leader degli -stan ex sovietici. Mancavano gli “amici” iraniani e venezuelani, per dipingere la classica immagine dell’asse del male. Ma i primi erano ancora a casa a leccarsi le ferite dei bombardamenti israeliani, secondo me.

Bene, questa immagine (e gli incontri dei giorni precedenti, non inusuali), con rappresentanti turchi e con il presidente indiano Modi hanno fatto parlare tutti di “multipolarismo” avanzante. Ma il dibattito odierno rappresenta un racconto geopolitico forse seducente ma certamente fuorviante, che ripropone dinamiche già osservate durante la Guerra Fredda, seppur con attori diversi.

Come durante il confronto bipolare USA-URSS, anche oggi emerge il desiderio di molti Paesi di evitare un allineamento rigido, cercando spazi di autonomia. Tuttavia, questa retorica nasconde una realtà più complessa: non assistiamo a una vera distribuzione multipolare del potere, ma piuttosto a un tentativo della Cina di sostituirsi all’URSS come polo alternativo agli Stati Uniti, in un quadro che potrebbe configurare un nuovo bipolarismo con sfere di influenza definite. Molte delle azioni internazionali della Cina sono figlie della presenza in ambito estremo oriente degli Stati Uniti, una presenza mal sopportata dal dragone che, se avesse mano libera lì, probabilmente si accontenterebbe dell’ampio giardino di casa.

Ma torniamo al presunto multipolarismo. Già nel secondo dopoguerra, il Movimento dei Paesi non allineati (1955) cercò di costruire una terza via autonoma rispetto ai due blocchi, promuovendo cooperazione South-South e neutralità. Tuttavia, tale movimento finì per essere egemonizzato da logiche di potenza internazionali e interessi nazionali, dimostrando come l’autonomia fosse più un ideale che una pratica effettiva. Oggi, il multipolarismo viene invocato soprattutto da Cina e Russia come alternativa polemica all’egemonia occidentale, ma dietro questa retorica si cela una sostanziale redistribuzione del potere verso un confronto tra due giganti: da un lato gli USA (e i loro alleati), dall’altro la Cina, con Mosca in un ruolo sempre più subalterno.

Il multipolarismo enunciato (e raccolto come verità dai media occidentali), quindi, rischia di mascherare una transizione verso un nuovo bipolarismo tecnologico e economico, in cui Pechino ambisce a sostituire l’Unione Sovietica come rivale sistemico di Washington. Tuttavia, questa competizione avviene in un contesto profondamente mutato: la globalizzazione e l’interdipendenza rendono impossibile una divisione netta del mondo in due blocchi ideologicamente omogenei e isolati . Inoltre, la distanza di potenza tra Cina e Stati Uniti rimane abissale, specialmente in ambito militare, e molti attori – come India, Brasile o Arabia Saudita – rifiutano attivamente di schierarsi, preferendo mantenere rapporti con tutte le parti in causa.

In conclusione, la baggianata odierna del multipolarismo è per molti versi il revival di un’illusione già vista: il desiderio di sfuggire a un mondo polarizzato, che però finisce per riprodurre logiche bipolari. La vera incognita riguarda gli Stati Uniti: da qui a pochi anni toccherà scoprire quanto il ritorno di Trump alla Casa Bianca abbia accelerato il declino della leadership americana, ma non necessariamente condotto a un ordine multipolare.

Più probabilmente, aprirà la strada a un bipolarismo ancora più instabile e conflittuale, o a una frammentazione caotica del sistema internazionale, dove il diritto cede il passo alla legge del più forte, le cui avvisaglie stiamo già vedendo in questi ultimi anni. Il multipolarismo, dunque, rimane allo Stato odierno per lo più un’immagine di un ordine desiderato, non una realtà effettiva. A discapito degli sforzi di Massimo D’Alema, diciamo.

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