L'arco di Ulisse
Il bel paese (di cacca)
L’Italia vanta, si fa per dire, giornali e televisioni che danno la chiara impressione di non raccontare, nella giusta dimensione, il disastro culturale e politico che ha portato alla decomposizione del Paese. Un’informazione più esigente, in questo frangente, solleciterebbe le forze dell’intero arco costituzionale a una seria autocritica, interpretando, come meglio non si potrebbe, l’insofferenza della popolazione, sottoposta, ancora oggi, a un sistema che mette in scena, con insopportabile ripetitività, un falso teatro, dove le parole si susseguono in un bla bla bla insignificante e privo di qualsiasi contenuto, a testimonianza di una irrimediabile inadeguatezza dei protagonisti della vita pubblica, incapaci di andare alla ricerca di idee e metodi per garantire la salvezza nazionale. Sì, perché l’ambizione della politica, a questo punto, dovrebbe essere una sola: salvare il Paese. Pare del tutto evidente che la stessa democrazia parlamentare abbia subìto un’involuzione senza precedenti. E a ogni livello istituzionale manca la politica, ossia quella mistura di idee e metodologia idonea a trovare soluzioni per facilitare e migliorare l’esistenza di tanti italiani, progettare il futuro delle nuove generazioni e garantire una sopravvivenza dignitosa alle persone anziane. Vi sarebbe la necessità di avere al governo un team, non un clan, che in ogni istante e per ogni problema sapesse perfettamente cosa fare, al di là della banale e inutile strategia di accontentare i soliti gruppi dell’oligarchia dominante, al fine di rafforzare unicamente un potere fine a se stesso, e per questo inservibile a qualsiasi ragion di stato che si rispetti. Anche l’analisi più elementare dei settori trainanti della nostra collettività indicherebbe un disastro epocale, preoccupante e sintomatico, che riguarda un po’ tutti. Ma, proprio tutti: governo e opposizione, editoria e informazione, imprenditori e impiegati, lavoratori e disagiati, studenti e disoccupati. La politica, come materia soggetta a ragionamento, non esiste da tempo, e chi ne discute, ne racconta e ne scrive, lo fa come se si accingesse a proferire su un aspetto di costume, tifando o contro-tifando per la propria componente di riferimento. Non come un principale campo di natura umanistica, che provvede favorevolmente alla vita di una collettività, viene, dunque, identificata la politica dai suoi interpreti, ma come qualcosa di totalmente diverso da una conveniente competizione di modelli e programmi. Qualcosa che riguarda le ambizioni personali di tante belle facce toste e gli interessi di chi muove i fili del potere nella penombra.
Una strana e ineluttabile sensazione di sconforto, che porta a prendere in considerazione una sorta di sconfitta generale, aliena l’umore popolare. Chi, dopo il berlusconismo, sperava in un rinsavimento collegiale delle persone intelligenti e per bene al servizio della politica, è stato deluso. La buona fede e con essa la speranza dei cittadini nel credere, ingenuamente, che, dopo un esasperato abuso, i gruppi di comando avrebbero tentato il recupero del buon senso, ormai non più una prerogativa del potere, è stata volgarmente disattesa. Mentre le intellettuali e gli intellettuali, le osservatrici e gli osservatori a cui vengono affidati spazi importanti della comunicazione, perseverano nel loro vacuo esercizio di stile minore, e tra citazionismi a iosa e battaglie pubbliche a sfondo privato, continuano a non denunciare l’inconvenienza di essere trascinati, come popolo, nel buio più fitto, dove non s’intravede da tempo un lampo di luce. La vera novità, probabilmente la più spettacolare, inverosimile e, al contempo, agognata, non fosse altro perché creerebbe l’opportunità per un nuovo slancio, contemplerebbe le dimissioni in blocco, per manifesta inidoneità, di una parte consistente di deputati, senatori, consiglieri regionali, provinciali e comunali, direttori di giornali, televisioni e istituti parapolitici, rassegnate su un unico documento, da affiggere alle pareti della memoria storica, per segnare la fine del neo-oscurantismo della nazione e suggellare l’inizio di una nuova fase, dove speranze e competenze, creatività e pragmatismo, lealtà e operosità, avanzerebbero insieme verso un destino più confacente alla magnificenza di un luogo come l’Italia, al riparo da organizzazioni massoniche e mafiose. Ma perché quest’esercito di impostori e di streghe che si credono fate dovrebbe ritirarsi dalla scena pubblica, rinunciando al favore del privilegio? Già, perché? Si tratta di gente dedita a farsi dar retta, per lo più corrotta, del tutto inadatta. Non la smuoverà nessuno, resterà al suo posto, a esercitare un potere inutile e deleterio di varia portata, chi di natura politica, chi culturale, chi semplicemente caricaturale, da barzelletta. Si può riderne, o piangere a scelta.
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