
Memoria e Futuro
Il curioso caso di Matteo La Rochelle
Ieri, quando Matteo Salvini ha pronunciato la fatidica frase “I toscani hanno rotto le palle” durante una conversazione sul vino, ha dimostrato, come se ce ne fosse ancora bisogno, che questo è un periodo in cui la vita imita l’arte. O, meglio, che la politica italiana di questi anni ha finalmente raggiunto i livelli di surrealtà della fiction televisiva. Chi avrebbe mai pensato che il ministro dei Trasporti sarebbe riuscito a superare in creatività linguistica Stanis La Rochelle e il suo iconico “I toscani hanno devastato questo paese“?
Il parallelo è talmente perfetto da sembrare scritto dagli autori di Boris in persona. Da una parte abbiamo Stanis, personaggio televisivo creato per parodiare la presunzione del mondo dello spettacolo romano (provinciale ma che aspira all’internazionalità), che attribuisce ai toscani la responsabilità del declino culturale italiano. Dall’altra parte abbiamo il leghista-patriota Salvini che, con la stessa scientifica precisione, identifica nei toscani i responsabili di chissà quale disastro nazionale, non si capisce bene se in politica o nel settore enologico. Forse pensava a casa sua, dove non è che i campioni della terra una volta di Dante e Macchiavelli diano lustro, basti pensare alle deputata europea Ceccardi o al toscano (d’elezione) Claudio Borghi.
Ma la genesi delle due affermazioni è illuminante. Stanis aveva costruito una teoria completa, basata sulla realtà a lui contemporanea: Pieraccioni che “devasta” il cinema, Benigni che monopolizza la Rai, Panariello che invade la pubblicità. Un complotto toscano perfettamente orchestrato per conquistare l’immaginario collettivo italiano. Ragionamento da attore frustrato e complottista. Salvini, più pragmatico, ha preferito concentrarsi ed esprimersi in ambito vinicolo, forse temendo che allargare il discorso alla cultura avrebbe richiesto competenze specifiche e magari con la scusa di scaricare la responsabilità della battuta agli assaggi, di certo copiosi, di Montepulciano d’Abruzzo.
La differenza sostanziale è che Stanis era un personaggio di finzione in una serie che parodiava proprio questo tipo di ragionamenti. Salvini, invece, sarebbe un ministro della Repubblica che evidentemente ha preso troppo sul serio “Boris” e ha deciso di trasformare la satira in programma politico.
C’è da dire che l’approccio scientifico di entrambi è ammirevole: identificare un problema complesso (il declino cinematografico culturale/la competizione vinicola) e trovare una spiegazione semplice e geograficamente circoscritta. È il trionfo del pensiero lineare applicato alla sociologia regionale.
La “bufera” scatenata dalle parole di Salvini conferma che siamo ormai in piena sovrapposizione tra realtà e fiction. Quando un ministro riesce a generare più polemiche di un personaggio televisivo specificatamente creato per dire cose provocatorie, significa che abbiamo raggiunto un nuovo livello evolutivo della comunicazione politica.
Una cosa salva Stanis rispetto al povero Salvini: il fatto che, essendo un personaggio inventato di una serie TV, non ha dovuto subire l’onda di ritorno di tutti i toscani presenti in politica a livello locale e nazionale che hanno avuto la necessità di dire la loro su questa battuta dal sen fuggita al ministro, dando conferma di alcuni stereotipi sul loro carattere amabile e per nulla suscettibile. E forse sappiamo anche i motivi per cui Salvini si è espresso così, anzi li ha detti proprio lui, tornando sulla vicenda con una specie di rettifica, naturalmente a modo suo: “A Marsilio ho raccontato che mi piace scherzare sempre con la mia fidanzata sul fatto che ormai sono quasi toscano, perché mangio e bevo toscano tutti i giorni, fra un po’ mi verrà anche l’accento fiorentino…”. Vivendo in Toscana da expat da una decina d’anni, lo comprendo, nello sfogo. Anzi, pensandoci bene, avrei potuto dire di peggio.
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