L'arco di Ulisse

Il passaggio breve da zotico zaloniano a ex balordo

di Oscar Nicodemo 27 Dicembre 2025

Non ho visto e non vedrò il nuovo film di Zalone (non reggerei più di 5 minuti!), conoscendo la cifra artistica del cineasta, che a parer mio è veramente bassa e, pertanto, mi intristisce. E poiché, come tutti, considero il cinema una gran bell’arte, non prediligo chi non ne interpreta e ne sviluppa, nei diversi generi, un modello virtuoso, pur realizzando grandi incassi. La comicità del simpatico Checco che si avvicina a un grande tema come quello spirituale non può che banalizzarlo e renderlo superficiale, con buona pace dei filosofi, dei mistici e dei teologi, che di fronte ai pareri favorevoli del grande pubblico e magari anche della critica finiranno per ringraziare l’attore per aver trattato l’argomento mediante il “Buen camino”. E questo fa veramente ridere! Considero Zalone stesso un fenomeno all’interno delle contraddizioni e le assurdità di tempi così minimi e, dunque, mai potrei prendere in considerazione il messaggio di una sua boutade, se mai ne veicolasse uno. Affrontare argomenti sensibili attraverso l’umorismo e l’ironia si può e si deve, ma è il taglio culturale che forgia il prodotto, ossia quell’insieme unico e irripetibile di pregi, simboli, conoscenze, tradizioni e modi di pensare che definiscono un’opera e il valore di ciò che l’artista va proponendo. Ora la domanda è: si rende utilizzabile la comicità di Zalone come strumento di riflessione sociale? L’umorismo, avvertiva Pirandello è il “sentimento del contrario”, che attraverso la riflessione, trasforma il riso in compassione e comprensione per le maschere che la società impone all’uomo, svelando la sua complessità e fragilità. Va da sé che, per esempio, sia Eduardo che Massimo Troisi abbiano interpretato da par loro questo bell’assunto pirandelliano. Mentre la comicità del nostro campione al botteghino, che non si evolve mai in umorismo, non solo non si presenta inaspettata e in qualche modo sorprendente, ma evidenzia la congruenza tra ciò che è, nella sua forma scadente, e ciò che dovrebbe deridere. In altre parole vi è una corrispondenza lampante tra l’arte stessa di Zalone e il suo ripetitivo soggetto tamarro e destroide, destinato a un cambiamento che viene ovviamente prospettato, con accorgimenti elementari, come miglioramento. E in effetti, lo è. Sì, perché il tanghero protagonista si redime e, in un processo improvviso quanto improbabile di trasformazione, diventa intelligente e sensibile alla maniera di un ex imbecille che fa ridere di meno e commuove di più. E in questa geniale fucina, si fa per dire, il pubblico non ha via d’uscita: o merita effettivamente quello che vede, senza peraltro rendersi conto che può specchiarsi tranquillamente in uno degli zotici zaloniani, o si immola a vittima sacrificale di una disgregazione culturale i cui campi dell’arte ne esprimono un indice tra i più genuini.

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