
Memoria e Futuro
Il silenzio del Leone
La notizia di un incontro nei prossimi giorni tra papa Leone XIV e il presidente israeliano Herzog (che alcune testate italiane hanno rubricato come “convocazione” da parte del pontefice, come se il secondo fosse una figura di rilievo minore nel panorama internazionale) mi ha fatto pensare allo stile diverso che abbiamo visto in questi primi mesi di pontificato rispetto agli anni del predecessore.
Il paragone tra le strategie papali di Francesco e Leone XIV mi pare metta in luce innanzitutto un forte contrasto nell’approccio comunicativo che riflette anche differenze profonde nella politica curiale ed estera del pontificato. Quello di papa Francesco si è caratterizzato sin dall’inizio per una comunicazione costante, diretta e coinvolgente, fatta di frequenti dichiarazioni pubbliche e gesti simbolici che hanno posto la Chiesa in un rapporto aperto e dialogico con il mondo. Il suo linguaggio semplice, spesso colloquiale e ricco di immagini tratte dalla vita quotidiana, ha facilitato una immediata empatia e vicinanza con i fedeli e con chiunque fosse interessato al messaggio papale, come altrettanta antipatia da parte dei detrattori, comuni o politici che fossero. Francesco ha usato la comunicazione come strumento per promuovere la sua idea di inclusività, giustizia sociale, pacificazione e dialogo interreligioso, nonché per sollecitare riforme della Curia sotto il segno della trasparenza e del rinnovamento pastorale.
Al contrario, papa Leone XIV ha adottato fin da subito un approccio di silenzio e riserbo che colpisce per la sua radicalità rispetto al predecessore. Nei primi mesi del suo pontificato, Leone XIV ha ridotto al minimo le dichiarazioni pubbliche, preferendo un linguaggio sobrio e misurato, fondato sulla riflessione e sulla costruzione di un dialogo pacato e discreto. Questo “silenzio” non è segno di inattività o indifferenza, bensì un segnale di una diversa filosofia comunicativa: l’idea di un pontificato che lavora più nella mediazione istituzionale che nell’impegno narrativo e pubblico continuo. Il pontefice ha infatti respinto il protagonismo mediatico, preferendo un ruolo più defilato e più simile a quello di un direttore d’orchestra che orienta senza occuparsi direttamente del palcoscenico quotidiano. Significativamente, anche la scomparsa del “pontefice presidente” — figura di riferimento e molto visibile durante il pontificato di Francesco — è stata gestita con una discrezione che ha evitato celebrazioni pubbliche o commemorazioni vistose, quasi mettendo quell’esperienza in soffitta.
Anche nei termini di politica interna all’organizzazione si possono notare differenze di non poco conto. In ambito curiale, Francesco è stato impulsivo nel promuovere una riforma radicale della struttura vaticana, ponendo attenzione alla conversione personale e pastorale dei funzionari, alla sobrietà e alla funzionalità, allo spirito missionario e alla sinodalità facendosi anche lì non pochi nemici. Al contrario, Leone XIV sembra voler rafforzare la Curia come una istituzione stabile e affidabile, sposando un modello di continuità più tradizionale che valorizza la memoria storica e il lavoro quotidiano del corpo curiale, pur mantenendo un’apertura missionaria.
Per non dire della politica estera, dove Francesco ha dato impulso a una diplomazia vigorosa ma al tempo stesso empatica e multilaterale (ma scarsamente efficace, per usare un eufemismo), ponendo un forte accento sull’interreligioso e sulla cooperazione con altre fedi, dimenticando di fatto una posizione di equilibrio e neutralità nei conflitti geopolitici, come si è visto nel suo approccio alle crisi di Medio Oriente e Ucraina. Leone XIV, fedele a una visione pragmatica, ha enfatizzato la diplomazia istituzionale più sobria, una comunicazione che evita aggressività verbale e un impegno più sistemico e duraturo piuttosto che simbolico. Il suo stile è molto meno incline a interventi pubblici marcati, preferendo indirizzare la politica estera attraverso relazioni multilivello e negoziazioni più riservate.
In sintesi, mentre il pontificato di Francesco ha prodotto una narrazione continua e vivace (in alcuni casi fin troppo), fatta di dichiarazioni puntuali e di una presenza mediatica incisiva, Leone XIV interpreta il papato con un linguaggio di silenzio e riserbo, in cui il silenzio diventa esso stesso una forma di comunicazione. Questo silenzio è una scelta stilistica che punta a segnare un distacco dalle celebrazioni e dalla comunicazione costantemente pubblica, confermando una volontà di concretezza e di sostanza piuttosto che di forma, e sottolinea la fine di un’epoca di protagonismo mediatico del Papa, lasciando spazio a un papato che vuole agire più in profondità e meno sotto i riflettori. Questo stile silenzioso, segnala forse un ritorno a una figura papale che privilegia meno il racconto e più l’azione discreta ma duratura nel tempo, fedele a una tradizione americana pragmatica e concreta. In questo modo, Leone XIV costruisce la sua identità papale tra rispetto per la memoria e una limpida volontà di rinnovare l’azione diplomatica e curiale in un contesto globale complesso, ma con uno stile sobrio e riflessivo, lontano dalla gran parte delle dichiarazioni continue del suo predecessore. Che questo stile abbia possibilità di successo, in questi sguaiati tempi, è tutto da dimostrare.
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