Memoria e Futuro
Il soffitto di cristallo dell’IA
Mentre l’intelligenza artificiale sta trasformando ogni angolo della nostra esistenza – dal codice che si autocompila alle diagnosi mediche, dalle poesie generate in 0,2 secondi alla ottimizzazione del traffico di Singapore – c’è un fortino inespugnabile, un’ultima trincea dell’umano più umano: la politica. È curioso, quasi comico, osservare come questa tecnologia onnivora, capace di infiltrarsi persino nella creazione artistica o nel calcolo quantistico, si arresti riverente davanti alle porte del potere. Perché?
Prendiamo gli esempi più noti dalla cronaca recente: l’IA scrive interi articoli di giornale, compone sinfonie in stile barocco, genera video deepfake così perfetti da innescare crisi diplomatiche, e addirittura suggerisce ai nonni come cucinare le lasagne analizzando il frigo tramite un’app. In Italia, 13 milioni di persone usano app di IA, con ChatGPT in testa (+65% di utenti in quattro mesi!). Eppure, in Parlamento, le uniche “intelligenze artificiali” sembrano essere certi discorsi ripetuti, sempre peggio, da decenni (per accorgersene, basta ascoltare per qualche minuto la programmazione giornaliera di Radio Radicale e poi andare nell’archivio della stessa radio e tirare fuori qualcosa di una trentina d’anni fa).
Qualche tentativo di uso dell’IA in ambito istituzionale c’è: Il Parlamento spagnolo ha affidato a Pangeanic un sistema IA per trascrivere in tempo reale le sessioni in tutte le lingue co-ufficiali (catalano, basco, galiziano), con un risparmio del 40% sui costi e una precisione superiore ai metodi tradizionali. L’UE ha fatto lo stesso con l’italiana Cedat85, la cui tecnologia Cabolo trascrive e traduce in 24 lingue senza connessione internet, riducendo del 23% gli errori rispetto ai competitor. Alcune PA usano IA per classificare protocolli e smistare PEC, con un’accuratezza del 75% – non eccelsa, ma paragonabile a un umano, e disponibile 24 ore su 24 . I sistemi “ibridi” prevedono ancora la supervisione umana, soprattutto per documenti con valore legale o storico. In Italia si ricorda la non brillantissima figura fatta dal presidente della regione Siciliana Schifani qualche tempo fa e poco altro.
Ma allora, perché la politica resiste? La risposta è più semplice (e più triste) di quanto sembri. L’IA funziona (quando funziona) dove ci sono dati, obiettivi misurabili, parametri. La politica, invece, è il regno della vaghezza strategica, delle promesse non quantificabili, delle mediazioni opache. Pensate che l’IA avrebbe scritto tutte quelle norme che vengono regolarmente rigettate dalla Corte Costituzionale o si sarebbe inventata i container per risolvere il problema carceri?
E ancora. Implementare un’IA per valutare l’efficacia delle leggi? Svelerebbe magagne imbarazzanti. Usare chatbot per dialogare coi cittadini? Smaschererebbe la distanza tra elettori ed eletti. Analizzare i programmi elettorali con algoritmi di coerenza? Produrrebbe allarmi rossi in tutta Europa, altro che fact checker umani.
C’è di più: l’IA richiede trasparenza, mentre la politica sopravvive nell’opacità. L’UE ha varato norme severissime per evitare bias e discriminazioni nei sistemi automatizzati, ma come controllare un algoritmo che dovrebbe giudicare l’operato di chi quelle regole le scrive? È il paradosso definitivo: l’unico campo in cui l’IA è troppo rivoluzionaria è proprio quello che dovrebbe gestire la rivoluzione.
Forse, però, la spiegazione è ancora più terra terra: mentre un’IA può ottimizzare un ospedale o una linea metropolitana, non può promettere mari e monti in campagna elettorale. Non sa mentire con convinzione. E soprattutto, non può votarsi i finanziamenti e spartirsi i fondi.
Allora godiamoci l’IA che ci consiglia film e musica e traduce sottotitoli e gerghi programmatori. Per la politica, ci tocca ancora l’edizione base: l’umano, col suo vizio antico di parlare tanto e cambiare poco. Con buona pace dell’algoritmo.
Devi fare login per commentare
Accedi