Memoria e Futuro

Immersi nel brodo

di Marco Di Salvo 3 Giugno 2025

Ai tempi delle superiori, il mio professore di italiano, un tipetto bizzoso, fumatore in classe di mezzi toscani che amava stuzzicare da accesi, giocando a schiacciare la cenere con l’anulare, quando durante le interrogazioni partivamo per voli pindarici, amava fermarci dicendo “non allungari u broru”.

L’espressione “allungare il brodo” – estendere artificiosamente qualcosa oltre il necessario – oggi mi sembra trovi un terreno fertile sia nelle serie TV in streaming che nella politica italiana contemporanea, diventando una strategia pericolosa che rischia di snaturare contenuti e processi democratici.

Pensateci bene. Al netto della gioia di avere intrattenimento di qualità a portata di mano (e anche questo è sempre meno vero, col passare del tempo), le piattaforme come Netflix, Prime Video o Disney+ vivono di engagement continuo. La logica algoritmica premia la permanenza sugli abbonamenti. Questo spinge verso stagioni interminabili (serie di successo vengono prolungate ben oltre la loro idea originale ad es. “Stranger Things”, “La Casa di Carta”), aggiungendo sottotrame convolute o personaggi superflui che diluiscono la tensione narrativa, spin-off precipitosi (universi narrativi vengono sfruttati fino all’osso con spin-off non sempre giustificati artisticamente, ma sicuramente utili al catalogo “Squid Game: The Challenge” ne è un sintomo estremo) ed episodi “Filler” (dove la libertà formale dello streaming porta a episodi dilatati (anche 70-80 minuti spesso pieni di scene rallentate, dialoghi ripetitivi o azione vuota, più che a un arricchimento narrativo).

L’obiettivo è trattenere lo spettatore-abbonato a tutti i costi, trasformando storie potenti in “brodo” sempre più acquoso, dove la qualità cede il passo alla quantità e alla familiarità rassicurante ma poco stimolante.

In politica, “allungare il brodo” diventa sinonimo di sopravvivenza, spesso a scapito dell’efficacia e della chiarezza, e questo vale sia per chi è al governo che per chi è all’opposizione. Si creano finte contrapposizioni su temi importanti ma calibrati in maniera superficiale (si pensi per ultimo alla vicenda del Decreto Sicurezza, con gli alti l’ai che rischiano di fare la fine di quelli di Pierino, nella vicenda della fiaba con coprotagonista il lupo). Ma anche, e comincia ad essere il caso di quello attuale, governi di coalizione instabili che sopravvivono attraverso compromessi al ribasso, rinvii di decisioni impopolari e tattiche dilatorie in Parlamento. Si procede per emendamenti infiniti, commissioni interminabili, evitando il voto su temi spinosi.

Per non parlare della nebbia delle Riforme: Progetti ambiziosi vengono annunciati all’inizio della legislatura con grande enfasi, ma il loro percorso è volutamente labirintico. Si creano commissioni, tavoli tecnici, consultazioni infinite che ritardano l’azione concreta, mantenendo lo status quo e dando l’illusione del movimento senza sostanza. La riforma del PNRR ne è un esempio emblematico, tra continui aggiustamenti e ritardi.

Altra caratteristica “brodosa”, nel passaggio dall’opposizione al governo il cambio del lessico. Il linguaggio politico diventa spesso vago, pieno di “vedremo”, “stiamo valutando”, “occorrono ulteriori approfondimenti”, diluendo la responsabilità e le scadenze precise (tipo quando si dice vado al seggio e non ritiro la scheda).

In entrambi i casi (di fiction), “allungare il brodo” genera effetti negativi. Nelle serie, si perde coerenza narrativa; in politica, efficacia decisionale e visione strategica. Lo spettatore abbandona la serie stufo; il cittadino si disaffeziona dalla politica, percepita come inconcludente e autoreferenziale. L’originale (l’idea della serie, il programma politico o il candidato visto come nuovo) viene svilito dalla ripetizione e dall’indugio. Prevale la logica della sopravvivenza immediata (mantenere l’abbonato, mantenere la poltrona) su quella della costruzione di valore duraturo o di soluzioni strutturali.

“Allungare il brodo” è quindi una strategia di mantenimento del potere (economico per le piattaforme, politico per i partiti) che, sebbene talvolta comprensibile tatticamente, rischia di produrre solo contenuti scialbi e azioni inefficaci, lasciando tutti – spettatori e cittadini – con un piatto sempre più pieno, ma sempre meno saporito e nutriente.

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