Memoria e Futuro

La grazia resistente

di Marco Di Salvo 24 Dicembre 2025

Il Presidente della Repubblica ha, nei giorni scorsi, firmato cinque decreti di grazia. Cinque storie di dolore e sbaglio che la giustizia aveva sigillato con una condanna e che ora, per volontà dell’inquilino del Quirinale, trovano una piccola apertura verso la libertà o almeno verso una pena più sopportabile. Tra queste cinque storie ce ne sono due che meritano attenzione non tanto per cronaca quanto per la loro portata simbolica, per quello che dicono senza dirlo, per il messaggio che arriva forte e chiaro proprio mentre si finge di sussurrare e mentre tutti sembrano interessati ad altro.

La prima storia è quella di Franco Cioni, settantasette anni, che ha ucciso la moglie malata terminale. Cinquant’anni di matrimonio, anni di assistenza, poi quel gesto estremo che la legge chiama omicidio e che forse è stato, chissà, l’ultimo atto d’amore di un uomo che non ce la faceva più a vedere soffrire la donna con cui aveva diviso una vita. La seconda è quella di Abdelkarim Alla F. Hamad, ventenne libico, calciatore e studente, condannato a trent’anni come scafista per la morte di quarantanove persone asfissiate nella stiva di un barcone nel Ferragosto del 2015.

Due storie che parlano, di fatto, di temi scomodi ma nel contempo popolari come eutanasia e immigrazione. Due parole che bastano a spaccare il paese, a far alzare barricate, a scatenare furori ideologici e paure ancestrali. Due temi su cui l’attuale maggioranza di governo ha costruito parte consistente della sua identità politica: no all’eutanasia in nome della sacralità della vita, no all’immigrazione in nome della difesa dei confini e della sicurezza. E il Presidente grazia proprio loro, l’uomo che ha abbreviato una vita e il giovane che avrebbe aiutato altri a varcare quei confini che vanno difesi a ogni costo.

La grazia è uno strumento antico, viene da lontano. Nelle monarchie assolute serviva a mostrare che il sovrano stava sopra la legge, che poteva perdonare ciò che i tribunali avevano condannato. Era un gesto di potere ma anche di magnanimità, dimostrava che il re era giusto ma anche umano, capace di vedere oltre il codice. In altri paesi è stato usato ed abusato anche per proteggere sodali e consorterie amiche. Pensiamo agli Stati Uniti, e non solo. Nella Repubblica Italiana questo potere è rimasto, custodito nelle mani del Presidente, e mantiene quella doppia natura: è correzione della giustizia quando questa si rivela troppo rigida, ma è anche un segnale, un modo per dire qualcosa al paese senza bisogno di discorsi.

E quello che dice Mattarella con queste grazie è netto. Dice che esiste una zona dove la legge non basta, dove la sofferenza umana è più grande della norma, dove la compassione deve avere uno spazio. Graziando Cioni riconosce che c’è differenza tra chi uccide per cattiveria o interesse e chi lo fa perché non sopporta più il dolore di chi ama. La Corte d’Assise lo aveva già capito dandogli una pena mite per un omicidio. Il Presidente va oltre, estingue quel che resta della condanna. È un riconoscimento implicito che in certi casi estremi la legge deve farsi da parte.

Questo mentre la maggioranza di governo fa di tutto per impedire che si parli seriamente di eutanasia e suicidio assistito, mentre cerca di svuotare la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato, mentre ripete che la vita va difesa sempre e comunque. Il Presidente non dice nulla su questo, ma grazia Cioni. E quel gesto parla più forte di mille discorsi al Senato.

Ancora più pesante sul piano politico è la grazia ad Abdelkarim. Trent’anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e omicidio plurimo. Una condanna che puzza di capro espiatorio, di bisogno di trovare un colpevole per una tragedia che colpevoli precisi non ne ha, se non un sistema mondiale ingiusto che costringe milioni di persone a rischiare la vita su barconi malfatti. Abdelkarim studiava ingegneria, giocava a calcio, poi è salito su quel barcone come altri centinaia. Qualcuno lo ha indicato come scafista, testimonianze fragili, contraddittorie. Lui è finito dentro per trent’anni. Aveva vent’anni.

La grazia parziale del Presidente non lo scagiona del tutto, ma riduce la pena, riconosce che c’è stato qualcosa che non ha funzionato, che il “contesto drammatico” – così dice il decreto – deve contare. È un riconoscimento che il sistema italiano ha sbagliato, che ha fatto degli scafisti il simbolo del male mentre il vero problema sta altrove, nelle guerre, nella miseria, nei diktat che l’Europa impone ai paesi africani.

E questo mentre il governo sigla accordi con la Libia e l’Albania per fermare i migranti prima che arrivino, mentre aumenta le pene per chi salva vite in mare, mentre costruisce la narrazione dell’invasione e del pericolo. Mattarella non fa dichiarazioni, non prende posizione pubblicamente. Ma grazia Abdelkarim. E anche qui il gesto dice tutto.

La grazia presidenziale non è solo applicazione della Costituzione. È politica nel senso alto della parola, quello che indica una direzione morale, che ricorda che ci sono valori che stanno sopra le maggioranze parlamentari e i sondaggi. Mattarella con questi decreti ha tracciato una linea che va in direzione opposta a quella del governo. Lo ha fatto senza clamore, senza cercare lo scontro, ma lo ha fatto.

È una forma di resistenza istituzionale, discreta ma ferma. Mentre la politica urla su eutanasia e immigrazione, il Presidente agisce. E ricorda che la Repubblica è cosa più grande delle contingenze, che esistono principi di umanità che nessuna maggioranza può cancellare. La magnanimità del sovrano, traslata nella democrazia, diventa così magistratura morale del paese.

È un insegnamento necessario in tempi in cui il potere confonde i numeri con la ragione. Mattarella ha mostrato che esiste ancora spazio per la pietà, per il dubbio, per la complessità umana. E che questo spazio va difeso, soprattutto quando tutti vanno dall’altra parte.

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