Memoria e Futuro
La politica del tubo
Appena scalda un poco l’aria, si superano stabilmente i trenta gradi e pare che l’estate si prepari a non avere mai fine (pur essendo appena iniziata) si riaffaccia sui giornali un grande classico dell’estate, assieme alla ripartizione delle bandiere blu sulle spiagge: la crisi idrica al Sud. E, naturalmente, messa alla prova i vertici delle istituzioni locali devono darsi da fare. E lo fanno da par loro, inventando soluzioni sempre innovative.
In Sicilia, terra che il giornalista pigro all’inizio di ogni articolo definisce “terra di contrasti”, si consuma un’assurdità idrica che supera la fantasia dei migliori sceneggiatori. Mentre i rubinetti sospirano aria e le autobotti diventano presenze fisse nei paesaggi urbani, la Regione stila politiche che sembrano uscite da un manuale di surrealismo applicato. L’ultima perla? Incentivi per l’acquisto di lavatrici a basso consumo in un’isola dove più della metà dell’acqua potabile evapora prima di raggiungere le case. Non è un paradosso, è la cronaca: secondo gli studi, la Sicilia è la quinta regione italiana per dispersione idrica, con una media del 51,6% . Significa che su cento litri immessi nelle tubature, cinquantuno spariscono nel nulla, lasciando gli agricoltori a guardare campi riarsi e i cittadini a riempire taniche sotto il sole cocente. E sistemare le tubature non da tanti passaggi d’agenzia stampa quanto inventarsi invece nuove soluzioni per spendere soldi a fondo perduto (in questo caso letteralmente).
Palermo, Siracusa e Agrigento brillano in questa classifica della vergogna, con punte che sfiorano il 65,9% ad Agrigento e il 65,2% a Siracusa, dove ogni giorno si disperdono 351 litri d’acqua per abitante . Mentre Trapani tenta di arginare l’emorragia con un “lodevole” 27,3% di perdite, il resto dell’isola sembra galleggiare in un mare di inefficienze. Eppure, anziché tappare le falle di reti idriche più bucate di un colapasta, la politica regionale sforna contributi per elettrodomestici. Come se il problema fossero le lavatrici degli siciliani, e non i tubi che potrebbero essere esposti in un museo dell’archeologia industriale.
Il dramma si tinge di grottesco quando si (ri) scopre (ogni anno, grazie alla sagacia dei giornalisti d’inchiesta) che dighe come la Trinità a Castelvetrano — costruita 70 anni fa e mai collaudata — vedono l’acqua sfuggire a mare perché dichiarata “insicura” . Nel frattempo, fiumi come il Simeto e il Verdura disperdono miliardi di litri nell’Ionio, mentre i fondi europei dormono sonni tranquilli: su 4,9 miliardi stanziati tra il 2010 e il 2020 per ammodernare le infrastrutture, la Sicilia ne ha spesi appena 365 milioni. Con questa lungimiranza, non stupisce che la soluzione proposta sia un esercito di dissalatori da 290 milioni di euro, che quando riescono ad essere costruiti, arrugginiscono attendendo l’ultima autorizzazione, anziché riparare tubi o recuperare gli invasi esistenti.
Forse, prima di insegnare ai siciliani come lavare i calzini con le lavatrici “ecologiche” di nuovissima generazione, sarebbe utile garantire che dai loro rubinetti esca acqua più di tre giorni su sette. In fondo, l’ironia è che in giro per il mondo nei ristoranti stellati i clienti possono gustare un’”insalata di polpo a base d’acqua siciliana dispersa”, mentre a Messina si fa la fila con le bottiglie. Un capolavoro di pianificazione idrica: l’acqua c’è, ma preferisce viaggiare.
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