Memoria e Futuro

La regista senza film

di Marco Di Salvo 29 Maggio 2025

Lei lo ha sempre detto, quando qualcuno sottolineava la sua poca presa da leader come segretaria del PD: “Non ci tengo a restare a vita, mal che vada farò la regista”. Che, messa così, non è proprio una scelta entusiasmante. E, in attesa che questa autoprofezia si avveri, proprio da regista e non da leader si muove la Shlein, cercando di mettere insieme le controverse anime del centrosinistra.

È vero, il primo turno delle elezioni amministrative di maggio hanno regalato alla coalizione un sorriso, seppur a denti stretti: Genova riconquistata al primo turno con Silvia Salis (51,48%) e Ravenna difesa da Alessandro Barattoni (58,15%) . Vittorie simboliche, sì, ma che confermano un paradosso: il Pd domina nelle grandi città (Roma, Milano, Napoli, Torino incluse), mentre il centrodestra governa 14 regioni su 20 e regna nei piccoli comuni . Elly Schlein, “testarda” architetta delle alleanze, si gode il momento: “Insieme si vince”, ripete come un mantra dopo il successo a Genova, dimenticando che la stessa regione era stata persa pochi mesi fa proprio per le divisioni.  Ma lei, imperterrita, va avanti per la sua strada. Non priva di ostacoli.

L’8-9 giugno, ad esempio, il gioco si fa più complicato. I Cinque referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza che accompagneranno il ballottaggio hanno già pronti nelle redazioni dei maggiori quotidiani i titoli e gli editoriali sul fallimento. Anche perché il centrosinistra rischia di frantumarsi, visti i distinguo dei protagonisti. Chi ne vota quattro, chi ne vota cinque, chi ne vota uno e non ritira la scheda per gli altri quattro. Insomma, pare il Lecce di Eugenio Fascetti, teorico del “casino organizzato”.

Il problema di fondo? Sempre lo stesso, mancano protagonisti credibili. Schlein, pur abile nel cucire alleanze, deve ancora dimostrare di essere più di un “coordinatrice di coalizione”. Landini, con i suoi referendum, gioca una partita solitaria rischiando di apparire nostalgico. E i leader minori (da Magi ai 5 Stelle) sembrano comparse in cerca di un primo piano, talmente disperati da risultare efficaci come attori di una filodrammatica paesana (vedi le posture di Conte in Parlamento).

Eppure, il centrosinistra potrebbe sorprendere. Se al ballottaggio conquisterà Matera e Taranto, e se i referendum (soprattutto quello sulla cittadinanza, cavallo di battaglia progressista) mobiliteranno i giovani, il Pd potrà presentarsi come l’unico argine a un centrodestra sempre più regionalizzato. Ma per farlo, dovrà trasformare le divisioni in pluralismo, non in litigio da condominio (come sulla manifestazione sdoppiata per la pace in Palestina, altro esempio plastico di mancanza di “amalgama”).  Tra urne, piazze e schede, il centrosinistra naviga a vista. Sa vincere nei palazzi comunali, ma fatica a trovare un “perché” convincente per il Paese. E senza una regia, le presunte leadership rischiano di sembrare attori (e regista) in cerca di uno script convincente.

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