Memoria e Futuro
L’autonomia indifferenziata
C’è un momento preciso in cui ogni grande riforma italiana smette di essere una notizia: quando diventa realtà. Fino ad allora è tutto un fiorire di dichiarazioni, polemiche sui social, editoriali infuocati. Poi arriva il testo definitivo, quello che conta davvero, e improvvisamente nessuno ne parla più. È successo con innumerevoli leggi di bilancio, dove mesi di battaglie mediatiche su misure annunciate si dissolvono davanti al dato di fatto: metà di quelle misure non sono mai arrivate in Gazzetta Ufficiale. Per questo chi vuole capire davvero cosa contiene una manovra finanziaria aspetta l’approvazione definitiva, ignorando il rumore di fondo.
Con l’autonomia differenziata sta accadendo qualcosa di simile, ma con una variante grottesca. Quando il 18 e 19 novembre scorsi il ministro Roberto Calderoli ha firmato le pre-intese con Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, qualcuno si è preso la briga di leggere i documenti. E ha scoperto che sono identici. Non vagamente simili: identici parola per parola.
Il costituzionalista Francesco Pallante ha raccontato l’episodio con ironia settimana scorsa su il Manifesto: aveva stampato le quattro pre-intese per studiarle in parallelo, cercando di cogliere le differenze tra le richieste delle varie regioni. Poi una telefonata, un attimo di distrazione, e le pagine si sono mescolate. Quando ha provato a riordinarle nei rispettivi plichi regionali, si è accorto che era del tutto inutile. Le pagine del Veneto stavano bene anche nel fascicolo della Liguria, quelle della Lombardia in quello del Piemonte. Impossibile distinguerle.
Il paradosso è lampante. Una legge che dovrebbe valorizzare le specificità territoriali produce richieste standardizzate, un copia-incolla da manuale. Ancora più tragicomico se si considera che la Corte costituzionale, nella sentenza 192 del 3 dicembre, ha stabilito che ogni richiesta di autonomia “va giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico” specifico di ciascuna regione. Invece, le quattro pre-intese si limitano a una frase generica: “Il governo e la regione convengono che l’attribuzione corrisponde a specificità proprie della Regione richiedente”. Specificità talmente specifiche da essere identiche per tutti.
Quest’attitudine al copia-incolla non è una novità nella pubblica amministrazione italiana. Chi ha frequentato gli uffici preposti ai bandi europei conosce le leggende – alcune vere, altre verosimili – di comuni che hanno ricopiato progetti da altre località e si sono ritrovati a chiedere fondi per restaurare chiese inesistenti o valorizzare scogliere in paesi di montagna. La Corte dei Conti nel 2016 aveva rilevato oltre 350 milioni di euro tra irregolarità e frodi nei fondi europei. Il fenomeno è talmente diffuso da essere quasi una prassi: si trova un progetto finanziato altrove, si cambia il nome del comune, si spera che nessuno vada a controllare.
Ma nel caso dell’autonomia differenziata, il copia-incolla rivela qualcosa di più sostanziale. Se Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria – regioni con economie, geografie e problematiche sociali diverse – chiedono esattamente le stesse cose, forse quelle problematiche non sono poi così specifiche. Forse l’esigenza di autonomia non nasce da particolari caratteristiche territoriali che richiedono soluzioni su misura, ma da un interesse comune: gestire direttamente i fondi.
Le quattro materie oggetto delle pre-intese – protezione civile, professioni, previdenza complementare e coordinamento della finanza pubblica in ambito sanitario – sono state scelte perché non richiedono la preventiva definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni. Ma soprattutto, riguardano tutte la gestione di risorse economiche. Nella sanità: gestire in autonomia le risorse, prevedere fondi integrativi, stabilire sistemi di remunerazione, programmare investimenti. Nelle professioni: controllare l’accesso al mercato del lavoro locale. Nella previdenza: gestire fondi pensionistici. Dietro il richiamo alle specificità territoriali si intravede un interesse più prosaico: avere mano libera sui soldi.
E qui sorge la domanda inevitabile: se l’interesse è così condiviso da produrre richieste identiche, non sarebbe più sensato un coordinamento nazionale? Se i problemi sono gli stessi e le soluzioni proposte sono le stesse, che senso ha frammentare la governance? La risposta dei sostenitori dell’autonomia è sempre quella dell’efficienza amministrativa e della valorizzazione delle eccellenze. Ma i documenti identici raccontano un’altra storia: una riforma pensata più per accontentare appetiti politici locali che per rispondere a reali esigenze differenziate.
La Corte costituzionale ha già bocciato sette punti fondamentali della legge Calderoli, stabilendo che l’autonomia non può essere concessa su intere materie ma solo su specifiche funzioni, e che ogni accordo deve essere preceduto da un’istruttoria approfondita che dimostri l’effettiva necessità per quello specifico territorio. Le pre-intese fotocopia sono esattamente il contrario di quanto richiesto dai giudici costituzionali: un modello standardizzato applicato indistintamente, trasformando l’eccezione costituzionale in regola generale.
Il Sud osserva con preoccupazione crescente, temendo che questa corsa all’autonomia cristallizzi divari già profondi. Le regioni meridionali hanno presentato ricorsi che hanno portato alla sentenza 192, ma il governo procede comunque, forte dell’appoggio delle regioni settentrionali. Le pre-intese ora attendono il parere della Conferenza Stato-Regioni e del Parlamento. Sessanta giorni per decidere se un copia-incolla istituzionale possa diventare legge dello Stato.
Nel frattempo, la vicenda illumina una verità scomoda: forse le differenze tra i territori italiani, per quanto reali, non giustificano la frammentazione che si vuole introdurre. Forse dietro la retorica dell’autonomia c’è semplicemente la volontà di gestire risorse senza i vincoli del coordinamento nazionale. E forse l’uguaglianza dei cittadini – da Aosta a Palermo – vale più dell’efficienza presunta di venti sistemi regionali che fanno le stesse cose in venti modi diversi, o peggio, che chiedono di fare le stesse cose con le stesse parole ma ognuno per conto proprio.
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