
Memoria e Futuro
Le ferie non godute
L’estate 2025, come tutte quelle post COVID, doveva essere la stagione della ripresa. Invece, per migliaia di aziende italiane si è trasformata in un incubo organizzativo. Mentre il 72% degli italiani si prepara a partire (4 punti in meno rispetto al 2024), dietro le chiusure aziendali prolungate si nasconde un paradosso amaro: l’aumento dei giorni di ferie non è segno di benessere, ma un altro sintomo di una crisi di produttività che strozza le imprese. I datori di lavoro, stretti tra i rincari energetici, paura dei dazi e il crollo della domanda, scelgono di sospendere l’attività perché non possono sostenere il costo degli straordinari. Un silenzioso SOS dall’economia reale.
Chi di voi non ha qualche amica/o che vi sta in questi giorni raccontando questa storia? “L’azienda (il datore di lavoro) quest’anno ha deciso di allungare i giorni di chiusura”. I numeri raccontano una storia drammatica. Secondo gli ultimi report, il monte ferie medio per dipendente è cresciuto del 30% dal 2020, con picchi del 45% nel manifatturiero. Durante la pandemia, molti lavoratori hanno accumulato giorni di ferie come un “tesoretto di sicurezza”, incoraggiati anche dai protocolli anti-Covid che ne incentivavano la fruizione. Ma nel 2025, questo accumulo si scontra con la realtà di un’Italia in recessione tecnica. Le imprese, impossibilitate a monetizzare le ferie arretrate, si trovano costrette a chiudere per settimane intere. Lo scenario economico aggrava la spirale. Per le aziende, pagare gli straordinari in questo contesto diventa insostenibile. Meglio spegnere le luci e mandare tutti in ferie che tenere i macchinari accesi senza margini.
In questo contesto produttivo, il paradosso è che queste ferie spesso non posso essere godute come si deve dai dipendenti. E il motivo è presto detto. Il potere d’acquisto delle famiglie è crollato: il 39% rinuncia alle vacanze per il calo del reddito, e chi parte spende in media 1.740€ (-9,5% vs 2024)
I viaggi degli italiani sono crollati al -24% rispetto al 2019, con solo il 36,4% della popolazione che si concede vacanze lunghe (contro il 51,1% della media UE) . Un dato che spiega perché il 62% sceglierà quest’anno vacanze low-cost in patria, con budget medi in calo a famiglia. Le mete montane guadagnano terreno (+15% di preferenze), ma spesso la scelta è obbligata visto i costi delle vacanze al mare. La scoperta di mete alternative non è legata a curiosità ma a fare quadrare i conti.
Perché quando i conti non tornano, le ferie forzate diventano di fatto l’ammortizzatore sociale occulto. Durante il Covid, il governo aveva sperimentato incentivi al godimento delle ferie, ma oggi la pratica si è cronicizzata. Il 43% delle PMI industriali ha programmato chiusure estive di 3+ settimane nel 2025, contro il 28% del 2019. Un record che nasconde la mancanza di alternative.
Le ferie lunghe sono diventate il termometro di un’economia malata, in un contesto in cui spesso si finisce a passarle più a casa (come in un film con protagonisti Diego Abatantuono e Victoria Abril di qualche anno fa, dal titolo Mari del Sud) che in giro in luoghi di vacanza. Con un turismo domestico in calo (ma non solo quello, a sentire gli operatori del settore cominciano a scarseggiare anche le prenotazioni degli stranieri nelle mete una volta più ambite), la produttività industriale stagnante e senza interventi strutturali da parte di chi governa, le ferie forzate rischiano di trasformarsi in prove di licenziamenti mascherati. Perché quando le aziende chiudono per settimane non per vacanza ma per sopravvivenza, il riposo non è più un diritto: è l’ultimo campanello d’allarme.
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